25ª domenica tempo ordinario Lc 16, 1-13
Coltiviamo piccoli gesti di bontà –
a cura di Don Luciano Condina –
Il vangelo di questa domenica è di non facile interpretazione, offrendoci la parabola dell’amministratore disonesto che, chiamato in causa per rendere conto del proprio operato, falsifica le somme dovute dai debitori al suo padrone per salvarsi la pelle. È accusato di sperperare gli averi della persona per cui lavora” per cui deve motivare il proprio agire o non potrà più ricoprire l’incarico assegnatogli. Il problema è misurarsi con la buona e cattiva amministrazione per non essere esclusi.
Il fatto è che noi, di fronte a un rendiconto di giustizia, siamo destinati sicuramente alla bocciatura. Chi si può presentare davanti a Dio dicendo di aver amministrato tutto bene? Nessuno. Scoperto il suo debito nei confronti del padrone (leggi: bisognoso di perdono), l’uomo della parabola riduce i debiti di chi deve dei soldi a lui: cioè comincia a perdonare. Pur non avendo la forza di zappare e vergognandosi di mendicare – che è l’analisi dei propri limiti – sa che può cominciare a rimettere le somme dei suoi debitori, per citare le parole che pronunciamo nel Padre nostro.
Incontriamo, però, anche una frase enigmatica di Gesù: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Lc 16,8). La scaltrezza dei figli di questo mondo è quella di chi si trova a gestire denaro e deve far tornare i conti: ha una propria abilità e se la sa cavare, spesso in modo egregio. Quel talento, però, al momento di stare nel mondo delle cose sante, uno se la dimentica, diventando incapace e impreparato. La scaltrezza andrebbe applicata anche alle cose sante, diventando così sapienza. Numerosi santi prima erano grandi peccatori, campioni nel male, ma nella redenzione l’intelligenza applicata nel male diventa la forza per far fruttare al massimo il dono di Dio.
C’è una sapienza che dobbiamo applicare nell’ambito della fede. Non siamo chiamati a essere cristiani inebetiti, addormentati, ma sapienti, vivaci e limpidi, che usano le cose di Dio sapendo bene quanto siano preziose. La pasta della sapienza dell’amministratore di questa parabola è la disonestà; in contrapposizione, la pasta della sapienza dei figli della luce è la fedeltà: come si esercita? Comincia dal poco: la vita cristiana è fatta di piccole fedeltà che diventano la grande fedeltà di una vita cristiana. Spesso crediamo che siano gli atti coraggiosi, i grandi momenti, le situazioni importanti a verificare il valore di un uomo; non è così: lo rivelano piuttosto i gesti più semplici, l’attenzione ai particolari, la cura delle piccole cose. L’amore non è un atto di fondo, ma particolareggiato. Amare una persona significa essere attenti a quello di cui ha veramente bisogno, ai particolari che sono “qui e ora” veramente urgenti. La fedeltà della vita cristiana passa per cose piccole: preghiera quotidiana, adesione a precetti semplici, piccoli gesti di carità che, se restano incompiuti, cambiano tutto radicalmente.
La vita cristiana è un tessuto costituito dal filo delle piccole cose in cui ci fidiamo di Dio; ma questa vita è erosa e distrutta dal fatto che è piena di piccole cose completamente estranee al cristianesimo, incompatibili con la fede come oroscopi, gossip e insulsaggini che inzeppano il nostro cervello e inquinano la nostra quotidianità.
Possa la nostra vita cristiana essere imbevuta di zelo e cura nei minimi particolari: un matrimonio salvato è fatto di piccoli gesti quotidiani compiuti, di dialoghi non evitati, di parole non dimenticate, di atti non trascurati; così come la crescita di un bambino felice è una questione di cura, di particolari, di amore che si esplica in piccole fedeltà che diventano la grande fedeltà.