29ª domenica tempo ordinario Lc 18, 1-8

 
 

Non stanchiamoci mai di pregare –

a cura di Don Luciano Condina –

Nel vangelo di questa domenica incontriamo un tema fondamentale della vita cristiana: la preghiera incessante. Da notare che il testo comincia parlando di preghiera e termina parlando di fede, sottolineando una circolarità tra le due: per pregare bisogna credere, ma per credere bisogna pregare.

Come si fa a pregare senza stancarsi, senza provare noia, senza avere la voglia di tirare un po’ il fiato?

Gesù parla di una vedova: una donna che non ha nessuno che possa occuparsi di lei, e in Israele era proprio ai margini totali nella scala sociale; infatti, molto spesso, diventavano mendicanti, non avendo più nessuno che le sostenesse. La vedova del vangelo va da un giudice dall’animo cattivo: a lui non interessa fare le cose bene ma che sarà costretto a farle bene. La realtà, molto spesso, somiglia a questo giudice svogliato, pigro, cattivo, disonesto; sembra portatrice di una dose di caos, di malizia, di cose malfatte.

La vedova continua a importunare l’uomo di legge, senza fermarsi. Perché non smette? Perché per lei è necessario: il punto della parabola è tutto qui. È necessario perché è una questione di vita o di morte. Chi, dunque, grida giorno e notte? Chi ha capito che è vitale avere un rapporto con Dio.

Purtroppo è molto comune non sentire tutta questa urgenza. Ma necessario significa che senza non vivo, perché appartiene alle mie urgenze vitali. La forza della vedova è che ha visto chi è l’avversario, ha capito di dover combattere la sua battaglia, è consapevole della rilevanza della sua vita; ha capito che lasciando andare così le cose, senza lottare, se il giudice non le renderà giustizia l’avversario se la mangerà.

Chi smette di pregare è come uno che smette di correre perché si è dimenticato della tigre che lo insegue. Troppe volte conviviamo con cose pericolosissime per noi. Il problema è che abbiamo un avversario – in ebraico si dice satan – che ci mette in pericolo. Quando siamo angosciati da qualcosa che ci minaccia seriamente allora, normalmente, preghiamo. La cosa strana, però, non è pregare quando siamo in condizioni di necessità – dovrebbe essere la cosa più naturale – bensì è credere qualche volta di non avere necessità di farlo! Il problema è pensare di sussistere da soli, in piedi, con le nostre forze. Questo è il grave inganno della nostra cultura che parla all’uomo della sua autosufficienza. L’intelligenza, i sentimenti, la dotazione di bordo elementare, diventano sufficienti se il bersaglio si rimpicciolisce: come tirare a campare e riuscire a fare delle vacanze dignitose ogni tanto. Ma se siamo chiamati all’immagine di Dio impressa nel profondo di noi stessi, alla grandezza, alla bellezza, all’amore, alla creatività, alla fine della nostra vita conterà se abbiamo amato veramente qualcuno, se gli abbiamo dato anche più di quanto dovevamo, se siamo andati oltre la giustizia: in sintesi, se siamo entrati nel campo dell’amore.

Se questa è la chiave di lettura di me stesso, allora abbiamo un’enorme necessità di pregare. Somigliare a Gesù Cristo non è un optional, ma una questione di vita o di morte. Non entrare nel sublime è un fallimento, non entrare nella bellezza è uno spreco della grandezza della propria vita: allora preghiamo. Abbiamo bisogno ogni mattina di pregare seriamente, di metterci davanti a Dio, perché non raggiungeremo mai la grandezza da soli. Abbiamo bisogno, ogni sera, di riconsegnargli la nostra vita; abbiamo bisogno in ogni istante di dialogare con Lui; e non ci stancheremo perché troppo bello è ciò che gli chiedo.