2ª domenica dopo Natale Gv 1,1-18
Acogliamo la Luce per diventare figli di Dio –
a cura di Don Luciano Condina –
Nella seconda domenica di Natale viene proclamato nuovamente il prologo del vangelo di Giovanni, già ascoltato mercoledì alla messa del giorno di Natale. La magniloquenza del testo annunzia il principio e l’origine delle cose, riecheggiando l’inizio della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra»; nel passo evangelico si legge: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Nessun testo filosofico, teologico o scientifico prodotto dall’umanità arriva minimamente a sfiorare la grandezza e l’ispirazione di questo primo versetto, che sintetizza il principio di tutto. E gli fa eco san Paolo quando parla di «ricapitolazione» in Cristo (Ef 1,11), intendendo che le cose riprendono il loro vero capo, ossia Cristo.
Questa parola ci tocca perché noi abbiamo perennemente il problema di ridare ordine alle cose, la loro giusta gerarchia, da dove partono e da dove nasce quello che viviamo. Se non mettiamo al centro del nostro agire la relazione con Dio, le nostre cose nascono male e spesso finiscono peggio. La relazione con il Signore è la corretta mira che prendiamo con l’arco per sparare la freccia della nostra vita: basta qualche grado di errore e si rischia di sbagliare completamente la direzione, il bersaglio. E quel piccolo errore all’origine del nostro essere diventa una grande distrazione dei nostri atti.
«In Lui è la vita e la vita è la luce degli uomini» (Gv 1,4). Con questa frase ci “scontriamo” ogni volta che partiamo solo ed esclusivamente da noi stessi nel metterci in moto, nel dare impulsi alla realtà, nel dare svolte, e spesso i risultati sono traumatici. Tanti errori fatti nella vita nascono dalle origini del nostro essere che non abbiamo riconosciuto o abbiamo dimenticato: la luce che viene da Cristo. «In principio» c’è il Signore: prima di tutto c’è l’amore di Dio; prima di tutto c’è la luce che viene nel mondo e illumina ogni uomo: se non abbiamo la luce di Cristo – cioè di Colui che si è dato per noi perché ci ritiene importanti, è convinto che valiamo la sua fatica, il suo sangue, l’oblazione completa di sé – se non partiamo da questo io infelice e fuori mira, procediamo a casaccio e, spesso, per traumi.
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 11,9). È quella luce a splendere nelle tenebre: le tenebre sono la nostra solitudine, la nostra povertà, i nostri dubbi, le nostre impotenze. La tenebra che va illuminata: aiutare qualcuno in difficoltà significa entrare nella sua tenebra per portarvi la luce. Ma se non possiediamo la luce, non possiamo donarla, e l’unica fonte di luce vera è Cristo, che riscalda, illumina, rischiara la tenebra solo e unicamente con la tenerezza di Dio. Questa cosa «non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo» (Gv 1,13) ma da Dio solo può essere generata: questa luce genera a vita nuova e a ciascuno di noi spetta solamente accoglierla, perché nessuno può farlo al nostro posto. Siamo tutti creature di Dio ma, per diventare figli, è necessario accogliere la luce che dà «potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Tra essere creature ed essere figli esiste una differenza sostanziale, abissale perché la salvezza di Cristo sta in questa distanza: una creatura non vive la salvezza, un figlio invece sì. «Figlia, la tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34), dice Gesù all’emorroissa, che diventa “figlia” nel momento in cui crede in lui, accogliendo la luce vera di Cristo.
Esortiamo tutti i lettori in questo nuovo anno ad aprire il cuore alla gratitudine, a non coltivare la tristezza, ma ad aprirsi alla pace, alla luce nel profondo dell’anima, a contemplare tutta la pazienza che Dio ci riserva.