3ª domenica di Pasqua Lc 24,13-35

 
 

È necessario credere per… vedere –

a cura di Don Luciano Condina –

Era domenica pomeriggio e, appena due giorni prima, Gesù era stato catturato, flagellato e crocifisso. Eccetto Giovanni e alcune donne, tra cui la madre e la zia di Gesù, con Maria di Magdala, tutti gli apostoli erano fuggiti o si erano nascosti per paura di morire anch’essi, vista la furia dei giudei contro il Maestro. Il sogno sembrava ormai infranto: pareva davvero il messia autentico – d’altronde, miracoli come quelli compiuti da lui nessuno li aveva mai fatti – ma forse era solo un profeta e nulla più. Sebbene alcune donne, quella stessa mattina, affermassero di averlo visto risorto, non c’era motivo di crederci: donne, troppo fragili, troppo sensibili, poco affidabili. E poi se nemmeno gli apostoli avevano creduto alle donne, allora non meritava dare credito alla notizia.

Discutendo di queste cose i due discepoli diretti a Emmaus, a tre ore di cammino, avevano ritenuto opportuno lasciare Gerusalemme: troppo pericoloso starci perché, dopo Gesù, avrebbero potuto uccidere i suoi seguaci. Uno si chiamava Clèopa (diminutivo di Cleopatròs), l’altro Simone. Mentre discutevano di queste cose «Gesù in persona» li affiancò, «ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» (Lc 24,16). Perché? Perché i sentimenti che albergavano nel loro cuore erano delusione e paura, l’esatto opposto di ciò che la fede produce. Quanti esperimenti scientifici hanno provato che la nostra mente vede solo ciò che vuole! E sappiamo che non basta vedere per credere: gli apostoli, in tre anni, ne videro di miracoli – il più eclatante dei quali la resurrezione di Lazzaro – eppure, benché Gesù l’avesse annunciato, benché le scritture lo annunciassero, non credettero a Maria che, tornando dal sepolcro, affermò di averlo visto risorto.

Il tema del “vedere”, presentato nel vangelo di domenica scorsa con Tommaso, si mostra nuovamente con i due discepoli di Emmaus che non riconoscono Gesù perché non credono. Capiamo allora che la realtà interiore può indirizzare la percezione dei nostri sensi e non essere affatto oggettiva! Non a caso vige il proverbio: «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Vedere qualcosa o qualcuno implica il coinvolgimento della dimensione affettiva, perché noi spesso concentriamo lo sguardo e i sensi in generale su ciò che amiamo. L’idolatria – la cui parola deriva dall’aoristo del verbo greco orao indicante una “visione” – è proprio qualcosa che coinvolge tutto il nostro campo visivo, percettivo e affettivo, impedendoci di guardare alla realtà delle cose: quando hai qualcosa come idolo, vedi solo quello! I due discepoli non riconoscono Gesù perché la loro idolatria era l’immagine messianica sbagliata, comune alla maggior parte degli ebrei: quella del trionfatore contro l’oppressore del mondo. E Gesù fu vero trionfatore, ma contro l’oppressore dello Spirito.

È curioso osservare che Cristo apostrofi i due con parole pesanti, definendoli «stolti e lenti di cuore» (Lc 24,25), cioè incapaci di aprirsi all’amore. E spiega loro come la sofferenza sia necessaria per la redenzione, come il pianto sia la strana via necessaria perché il messia giunga alla gloria.

Alla fine, così come Tommaso ha potuto vedere Gesù perché ha partecipato all’adunanza con gli apostoli, anche i due discepoli di Emmaus riconoscono Gesù solo nello spezzare il pane, ossia nell’appuntamento che la Chiesa dà ogni settimana nel giorno del Signore, per partecipare al sacro banchetto.

In questo brano evangelico troviamo l’esplicitazione di cosa sia il sacramento dell’eucarestia: arrivare con la nostra stoltezza, con le cose che rifiutiamo della nostra esistenza e ascoltare la rilettura della nostra storia illuminata dalla Parola di Dio, per scoprire che ciò che noi stiamo rifiutando forse è proprio quello che Dio ci propone come strada di salvezza.

Spezzato il pane Gesù sparisce alla vista: la sua presenza non è più necessaria perché ora vive in loro; ed essi, subito – benché l’ora sia ormai tarda – si rimettono in viaggio per tornare a Gerusalemme e accettare la paura da cui fuggivano, ora forti della presenza di Cristo in loro.

Non basta vedere per credere, bisogna credere per vedere.