5ª domenica tempo ordinario Mc 1, 29-39
– a cura di Mons. Sergio Salvini –
Miracoli, segni di misericordia –
Il Vangelo di questa domenica è costellato da un coro di malati, miseri e silenziosi, che al tramonto del sabato, cercano Gesù per essere guariti dai loro malanni. Li aveva preceduti, forse già nella tarda mattinata, dopo i riti nella sinagoga, l’anziana suocera di Pietro, febbricitante. Gesù prendendole la mano, la «fa rialzare». Il testo greco dice letteralmente la «risuscitò». Poi l’anziana signora, guarita, li servì a tavola. Questa guarigione ci presenta il miracolo del servizio. Può sembrare un miracolo insignificante. Ma i miracoli non sono mai spettacoli di potenza, piuttosto segni della misericordia di Dio. In questo racconto la piccolezza del segno è tutta a vantaggio della grandezza del significato. Il miracolo che Gesù è venuto a compiere in terra è la capacità di amare, cioè di servire. Chi ama serve, serve gratuitamente, serve continuamente, serve tutti indistintamente.
Verso sera, arrivano in folla malati di ogni tipo e Gesù li guarisce. L’evangelista Matteo commenta così lo stesso evento: «Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Is 53,4). Come dire che Gesù non discute con il Padre sul perché della sofferenza, ma semplicemente se ne fa carico. Le infermità fisiche erano considerate effetto della presenza del Maligno. «Per invidia del diavolo, la morte entrò nel mondo» si legge nel libro della Sapienza. Le guarigioni fisiche sono il segno che la signoria di Dio si è fatta vicina. È l’incredibile risposta di Gesù alle domande dei tanti sofferenti, di ieri e di oggi.
Con questo piccolissimo segno di guarigione l’evangelista spiega il significato di tutti i miracoli: sono delle guarigioni che Gesù opera per restituire a ciascuno di noi la capacità di servire, che è la nostra somiglianza con Dio.
Poi, la giornata tipo di Gesù si conclude con la preghiera notturna, che dà inizio alla nuova attività. Per lui la contemplazione è insieme termine e sorgente dell’azione, fine di ciò che ha fatto e principio di ciò che sta per fare. L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è totalmente se stesso quando sta davanti a Lui. È dal vero rapporto con Dio che nasce, di conseguenza, il vero rapporto con sé, con gli altri e con le cose. Il cristiano prega soprattutto per ringraziare Dio che gli dà tutto, per amarlo, per conoscerlo meglio e vivere così nella gioia, nell’amore e nella verità. La preghiera non serve per ricevere qualcosa, ma per diventare Qualcuno: per diventare come il Dio che preghiamo, per essere perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. La preghiera è “punto di arrivo” di ogni realtà cristiana, perché è l’approdo in Dio. Ecco l’ultima battuta di Gesù in questo Vangelo: «Andiamocene altrove». Egli scarta le immagini false che la gente si fa del suo ruolo di guaritore; taglia corto riguardo all’entusiasmo popolare. Chi vuole a tutti i costi suscitare applausi non riesce a evitare i compromessi.
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«Abbiate coscienza dell’importanza dell’orazione nella vostra vita, e imparate ad applicarvi generosamente: la fedeltà alla preghiera quotidiana resta sempre, per ciascuno di noi, una necessità fondamentale e deve avere il primo posto nella vita» (Paolo VI).