Omelia della Processione delle Macchine
Mater dolorosa – Processione delle macchine – Venerdì santo – 26 marzo 2013
Quando si fa scorrere lo sguardo sulle immagini di questa amata città, vengono subito alla mente le manifestazioni che intrecciano le sue tradizioni; i volti della sua storia, in fila dopo il proto-vescovo Eusebio; si parla di una città ancora a misura di uomo, delle sue celebrazioni di fede popolare, intense, partecipate.
“La processione delle macchine” porta un nome plurisecolare. Quando la prima volta sentii parlare di processione delle macchine pensai subito ad altro, qualche cosa di singolare per una ricorrenza così significativa per la fede dei credenti, il venerdì santo. E dopo la partecipazione alla prima processione del 1996, rimasi fortemente colpito per la devozione, per l’ordinato svolgimento: con tantissima gente a fare siepe lungo la strada, con l’onda del segno di croce dei grandi e dei piccoli.
Questa esperienza mi ha convinto ancora di più di quell’aggettivo che accompagna la fede: la popolarità. La fede è la testimonianza di un popolo che conserva gelosamente le sue radici, esprime in concreto l’apertura antropologica verso il mistero trascendente.
Come ogni anno, la processione delle macchine viene conclusa in questa splendida basilica, altro segno del genio creativo vercellese, altra testimonianza plurisecolare della sua fede. Ogni anno una macchina viene portata qui, davanti all’assemblea per ascoltare un messaggio, da accogliere pensando al mistero del Cristo morto e risorto.
Questa sera davanti a voi c’è una macchina importante, assolutamente immancabile nella via crucis: la Mater dolorosa, opera di autore ignoto del secolo XIX.
L’Addolorata non ha una cittadinanza esclusiva; Maria è presente ovunque, nei santuari che trapuntano la terra: è una singolare testimonianza, questa, della Madre dei credenti, dell’umanità, solidale con tutti i crocifissi della terra, sugli infiniti calvari dentro e fuori le mura della città. “Juxta crucem” secondo Giovanni: un segno davvero ambivalente la croce, perché da una parte è simbolo delle infinite violenze che salgono verso il cielo. Il peccato del mondo è come un’onda fangosa che aggredisce il patibolo issato tra cielo e terra, sul calvario: una violenza piena di rabbia, di confusione e di urla. Sembra che sulla piccola sommità del colle, fuori le mura, confluisca tutta la perfidia drammaticamente fantasiosa dell’egoismo umano.
Ma, d’altra parte, la croce è il segno più dirompente dell’amore discendente. Dalla terra sale la violenza; verso la terra discende l’amore. Gesù l’aveva predetto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 19,32).
E sotto la croce c’è il cerchio pietoso dell’amore e il cerchio atroce della violenza. “Sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19,25), c’erano per condividere il compimento nell’ora della gloria, passione e risurrezione.
Il destino di Maria si svela attraverso il mistero di una maternità senza confini. Due annunci, infatti, esprimono la sua singolare missione: l’annuncio sulle colline di Nazareth e l’annuncio sul colle del Golgota.
In tre versetti la parola madre, ricorre cinque volte e i verbi sono ridotti alla scarna essenzialità dell’amore: “Stavano…presso la croce…” .“Vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava disse, alla madre :”Ecco tuo figlio…” e da quel momento il discepolo la prese con sé nella sua casa.
Contemplando nel silenzio l’icona della Mater dolorosa noi incontriamo tre nomi che costruiscono la speranza del mondo.
La madre: Maria è il più grande dono affidato da Gesù morente a Giovanni, ai figli: “Gesù allora vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava disse…al discepolo: “Ecco tua madre” (v 27).
Sulla croce c’è il figlio; accanto alla croce ci sono i figli.
Io non so immaginare il cuore di Maria tra il Figlio e i figli; ma mi torna alla mente una lontana esperienza di ministero sacerdotale. C’era il parroco ammalato nelle mia parrocchia di origine e fui chiamato a somministrare l’olio degli infermi ad una madre morente. Accanto al capezzale c’erano i tre figli. Finita la celebrazione del sacramento feci un invito alla madre ormai prossima alla morte: “Che cosa vuole dire ai suoi figli qui presenti?” La donna, quasi raccogliendo tutte le residue energie disse queste parole: “Vi raccomando di andare sempre d’accordo”.
Forse è questo il desiderio della Mater dolorosa: il Figlio dà la vita per tutti; e nel cuore di Maria, spunta nel segreto, un altro desiderio: riconciliare i figli con il Figlio.
Sul calvario, Gesù affida la madre a Giovanni, e l’apostolo con sollecitudine, da quel momento la prese nella sua casa” (v 27).
La presenza della Madre “fa casa”. Là dove c’è una madre c’è amore gratuito, un amore evocativo di quello di Dio; c’è accoglienza della vita, c’è un grembo che diventa difesa, sicurezza, baluardo sicuro.
Forse anche nelle nostre famiglie c’è bisogno di maternità e di paternità. I figli non chiedono soltanto l’amore di un uomo e di una donna; hanno bisogno di un amore genitoriale, cresciuto nella relazione intensa e vera di un amore coniugale, alimentato dalla forza della preghiera. Come nel piano di Dio, fu per Gesù, Maria e Giuseppe.
Ricordo una testimonianza di vita raccontata dallo scrittore Bobbio. Egli tornando una sera a notte tarda, dopo aver gozzovigliato con gli amici, trova sua madre rannicchiata accanto al focolare semi-spento, mentre recitava il rosario. “Buttalo via, vecchia, quel giocattolo”. La madre, pazientemente depose il rosario sul focolare e disse: “Giosuè, io ho messo via il rosario, ma tu cos’hai da mettere nelle mani della tua vecchia madre?”.
Lo scrittore confida: “Io, preso il rosario, lo rimisi nelle mani di mia madre e scappai fuori nella notte”, che fu la notte della sua conversione. Nella sua memoria rimase sempre quella scena: una casa, una madre, un rosario.
Ma accanto alla croce non c’è solo una madre accolta in casa, da Giovanni: c’è una madre che partorisce i figli nel dolore; c’è una Mater dolorosa che genera la speranza dell’umanità.
“Stabat”: i calvari del mondo sono infiniti. Sono molte le madri che vivono il dramma delle lacrime per i figli morti o che hanno preso strade devianti, le solitudini sono ovunque dietro la porta di casa; le ferite del corpo e dello spirito sono presenti in ogni famiglia. Ma i cristiani hanno imparato dalla Madre, la quale “stava” con pazienza, con amore, senza tempo, per donare conforto, per condividere le fatiche della vita, per accompagnare la speranza sulla soglia della luce. Per questo il popolo credente non si stanca di ripetere: “Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”.