2ª domenica t.o. Gv 1,29-34
Lo Spirito Santo viene a rinnovarci –
a cura di Don Luciano Condina –
Concluso il tempo di Natale, rientriamo nell’ordinario con la seconda domenica. Questo tempo liturgico comincia con l’assegnazione a Gesù, da parte del Battista, del titolo di «agnello di Dio». L’agnello era la vittima immolata il giorno precedente la Pasqua ebraica – e Gesù morirà proprio in quella ricorrenza – Inoltre Isaia, sette secoli avanti, aveva profetizzato che il servo «maltrattato, era come agnello condotto al macello» (Is 53,7). Dobbiamo specificare che il significato di «toglie i peccati del mondo» è da tradurre con “che prende su sé, si carica sulle spalle il peccato del mondo”. Il peccato, quindi, non svanisce nel nulla, ma è assunto da Colui che Dio ama con tutto se stesso, il suo figliolo nel quale si è compiaciuto, «perché sia adempiuta ogni giustizia» (Mt 3,15), come abbiamo letto domenica scorsa.
Su Gesù è sceso lo Spirito Santo in forma di colomba – Giovanni Battista ne è stato testimone oculare – e Cristo battezzerà nello Spirito Santo: baptizomai, in greco, significa “immergere”; dunque Gesù sarà colui che permetterà “l’immersione nello Spirito Santo” della vita di chi vorrà accoglierlo. La porta per essere inondati da quello Spirito – ossia dall’amore di Dio fatto persona – è il Signore Gesù Cristo; e l’uomo non può neanche osare di sperare quanto grande possa essere questo amore, che supera infinitamente il povero concetto di giustizia umana.
È interessante notare che Giovanni Battista afferma di aver ricevuto l’informazione sul Messia da qualcuno che non specifica e che indica semplicemente come «colui che mi ha inviato a battezzare» (Gv 1,22): per arrivare al Dio vero c’è sempre bisogno di un mezzo, di qualcuno che faccia da tramite; così è stato per Samuele attraverso Eli, il sacerdote; lo stesso dicasi per Pietro, che si è avvicinato a Gesù grazie a suo fratello Andrea; e ancora per l’apostolo Giovanni, il cui tramite è stato il Battista. A Cristo si arriva attraverso chi l’ha incontrato prima di noi e lo fa vivere in sé. Allora chi incontra un cristiano dovrebbe percepire il profumo che Gesù lascia in chi lo custodisce e vive di questa immersione nello Spirito Santo. Con la discesa dello Spirito sotto forma di colomba alla natura umana è donata la possibilità di essere luogo di accoglienza per questo “elemento estraneo”, così diverso da essa. Lo Spirito Santo in forma di colomba, infatti, scende e rimane.
«Rimanere» è un verbo tipico del vangelo di Giovanni e indica una stabilità di rapporto: «Rimanete in me e io rimango in voi, se le mie parole rimangono in voi», si legge in Giovanni 15; è un linguaggio tipico del suo vangelo che indica un rapporto stabile, autentico, duraturo.
In Gesù troviamo una tenerezza, una dolcezza, una mitezza tali da non far paura a un animale gentile come la colomba: esiste quindi la possibilità che noi apriamo il cuore al Signore Gesù il quale inaugura una nuova forma di vita, la vita da figli di Dio; così possiamo essere docili allo Spirito Santo, non contristandolo ma accogliendolo e facendolo rimanere in noi, secondo la grazia di Dio.
Quello che celebriamo nella liturgia di questa domenica è la possibilità che lo Spirito Santo scenda su di noi e aleggi sopra di noi di nuovo – come lo Spirito di Dio «aleggiava sulle acque» (Gen 1,2) all’ inizio della creazione – e come nuova creazione ci consenta di cambiare pagina, di compiere un salto di qualità, di avere una nuova intimità con lui, per far sì che le cose vecchie siano passate.