Domenica di Pentecoste Gv 20,19-23
I doni preziosi dello Spirito Santo –
a cura di Don Luciano Condina –
Che ce ne facciamo dell’amicizia di uno come lo Spirito Santo? Nella solennità di Pentecoste, la sua festa – il suo compleanno, di fatto – è proprio necessario rispondere a questa domanda, perché chi trova un amico trova un tesoro… e che amico! e che tesoro!
Di Lui si parla poco eppure è il dono più prezioso che Gesù fa alla Chiesa nascente, e militante poi nei secoli. Si presenta come colomba, come fragore, come vento gagliardo, come fuoco: tutte immagini altamente simboliche e indicative della psicologia della persona dello Spirito Santo.
Di Lui Gesù dice che «ci insegnerà e ricorderà ogni cosa» (cfr. Gv 14,26). Ogni cosa vuol dire proprio ogni cosa: parlare, lavorare, guardare, camminare, vestire, acquistare, donare, fidanzarsi, pregare, cucinare, litigare, insegnare, apprendere, soffrire, risolvere i problemi, piangere con gli altri, ridere, mangiare… fare tutto, insomma. Perché esistono un modo cristiano e uno non cristiano per compiere le azioni appenanominate.
Lo Spirito Santo ci insegna a fare le cose come le farebbe Cristo se si trovasse al nostro posto. I Santi ci mostrano proprio questo: che è possibile essere “altri Cristi”, poiché con l’Ascensione Gesù lascia ai discepoli il mandato di testimoniarlo sulla terra, ossia far sì che altri lo incontrino attraverso di loro. Ed è proprio lo Spirito Santo la Persona preposta a far sì che ciò si realizzi, secondo il modus operandi del “paraclito”, cioè l’avvocato che nei processi dell’antichità suggeriva all’orecchio dell’imputato come parlare al meglio di fronte al giudice. Lo Spirito Santo compie quest’opera tramite ispirazione, che è un suggerimento intimo percepito dalla parte spirituale dell’uomo. Ogni giorno è bene invocarlo a inizio giornata per far sì che ci apriamo alla sua luce.
La caratteristica più nota dello Spirito Santo sono i suoi sette doni, preziosissimi, che, purtroppo, dopo la Cresima accantoniamo in un angolo senza pensarci più. Di essi parla già il profeta Isaia nel capitolo 11, annunciando il Messia: dunque non sono un’invenzione del magistero ecclesiale cattolico. Con il «timor di Dio» non ci insegna ad avere paura di Dio quanto ad avere le sante paure che Dio, come Padre, può avere per un figlio; lo Spirito Santo ci insegna ad avere il santo timore di ciò che ha il potere di distruggerci la vita e, di conseguenza, ce ne fa stare alla larga. Se i miei due compagni di scuola morti di overdose avessero avuto timor di Dio, non avrebbero provato quella robaccia.
Con il dono della pietà, che indica la dolcezza d’animo, lo Spirito Santo ci comunica il sentimento di tenerezza che Dio ha per noi e che, di conseguenza, noi proviamo per gli altri. La pietà ci fa vedere gli altri come Dio vede noi e ci fa provare grande tenerezza per loro. È la pietà che ci permette di vedere il prossimo come figlio, fratello o genitore.
Il dono della scienza ci porta alla conoscenza profonda delle persone e delle cose, per entrare in sintonia con esse e rispettarle per ciò che sono realmente. Non è un caso che per San Filippo Neri – appena festeggiato il 26 maggio – il contrario della scienza fosse la lussuria.
Con il dono del consiglio illumina la nostra mente affinché possiamo prendere le decisioni giuste, alcune vitali, come ad esempio sposare la persona giusta. Che non è poco.
Con la fortezza ci insegna a portare avanti le scelte della vita: il matrimonio, con la persona giusta, ad esempio; ma anche con la persona sbagliata, perché con questa virtù lo Spirito Santo ci trasmette l’eroismo della virtù.
Con il dono dell’intelletto ci trasmette un’intelligenza più profonda, l’intus legere, la capacità di leggere dentro, nel profondo, di comprendere l’altro. Sì, uomo e donna possono capirsi!
Con la sapienza ci fa comprendere chi è Dio e, di conseguenza, chi siamo noi. Solo a questo punto diveniamo umili e cominciamo ad amare veramente.