“Icalzante vecchiaia”

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Ho virgolettato il titolo perché cita un carme del poeta latino Orazio (8 aC). Verissimo: la vecchiaia, non garantita in gioventù, se arriva e quando arriva, è incalzante. Ma anche se è più o meno retoricamente gabbata come la stagione meno allegra della vita, è possibile descriverla con incomparabile bellezza poetica. E’ una delle straordinarie sorprese della Bibbia, a noi somministrata dall’imprevedibile Qoelet alla fine della sua disillusa meditazione sul senso della vita, che non riesce a trovare. Non tutti sanno che nel codice fondamentale della fede cristiana c’è anche spazio per il libero pensiero, che viene occupato da due libri: 1) il libro di Giobbe, in cui una tavola rotonda di sapienti discetta sul dolore umano. Alla fine prende la parola Dio stesso: la Sapienza tacita i sapienti! 2) E il libro del Qoelet, autunnale monologo sui “giorni dell’uomo sotto il sole” (Qoelet 1,9), ossia sul senso della vita umana. Alla fine l’ignoto autore si rivolge a chi è ancora giovane con la seguente esortazione:

Ricordati del tuo creatore

nei giorni della tua giovinezza,

prima che vengano i giorni tristi

e giungano gli anni di cui dovrai dire:

“Non ci provo alcun gusto” (12,1).

I giorni tristi sono quelli della vecchiaia, di cui viene data una descrizione allegorica, punto su punto, intrisa di divertita arguzia e decorata di travolgente ermetismo. Ecco allora cosa capita in quei “giorni tristi”:

  1. Si oscurano il sole, la luce, la luna, le stelle. La vista si abbassa, non si vede più la notturna bellezza siderale e neppure le scalmane diurne del sole mediorientale: gli occhiali da vista e da sole diventano necessari;
  2. Tornano ancora le nubi dopo la pioggia. Alcuni fugaci sprazzi di gioia e felicità, fra un annuvolamento e l’altro, emergenti da un diffuso grigiore in cui la mestizia prevale sulla letizia;
  3. Tremeranno i custodi della casa e si curveranno i gagliardi. Non c’è più capacità di autodifesa, basta una spintarella anche involontaria per stramazzare a terra. E non si è più in grado di mantenere costantemente una posizione eretta, tipo corazzieri del Quirinale;
  4. Cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste in poche. Arguzia feroce! La piorrea fa cadere i denti e al loro posto si installa la dentiera con relativo Kukident;
  5. Si offuscheranno quelli che guardano dalle finestre e si chiuderanno i battenti sulla strada. Ulteriore abbassamento della vista, se non persino con irreversibile chiusura delle palpebre in letargia senile;
  6. i abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto. Amplifon! Non sentire più il fragore della mola non è grave perdita. Ma non udire il cinguettio di pennuti e umani – i toni del canto – incrementa la tristezza, perché rinchiude in un ermetico isolamento;
  7. Si avrà paura delle alture e terrore si proverà nel cammino. Si è più apprensivi, tutto costituisce preoccupazione, insorgono talora inspiegabili attacchi di panico, oggi in aumento;
  8. Sfiorirà il mandorlo. Non capisco cosa voglia dire. Forse che la vecchiaia attenua anche il gusto palatale, con diminuzione dell’appetito? Può darsi, ma è un effetto dell’odierno coronavirus, a quei tempi ignoto;
  9. La locusta si trascinerà a stento. Non si potrà camminare senza girelli e passeggini, e tantomeno fare il salto con l’asta;
  10. Il cappero non avrà più effetto. Gli veniva attribuito un effetto afrodisiaco, che forse possiede veramente.

Ed eccoci al traguardo: … perché l’uomo se va nella dimora eterna e il piagnoni si aggirano per la strada. I piagnoni erano professionisti delle lacrime pagati apposta alluvionare i funerali con sciabordanti fazzolettate. Siamo così giunti alla morte, di cui il poeta/filosofo offre una descrizione di una bellezza letterariamente impareggiabile. Ma dobbiamo fare un passo indietro e riagganciarci all’esordio: 

Ricordati del tuo creatore 

nei giorni della tua giovinezza, 

prima che 

capitino tutte le cose che abbiamo visto nei numeri da 1 a 10. Ma non è finita perché si lancia un’occhiata alla morte da distanza ravvicinata:

prima che si spezzi il filo d’argento

e la lucerna d’oro s’infranga

e si rompa l’anfora alla fonte

e la carrucola cada nel pozzo.

Cerchiamo ora di far luce in questa ermetica descrizione della morte. Notiamo innanzitutto i verbi: spezzarsi, infrangersi, rompersi, cadere. Non uno solo che, visto nel quadro generale, non sia almeno lugubre!

E ora i soggetti dei verbi: il filo d’argento, la lucerna d’oro, l’anfora. Tutti dicono bellezza, luce, vitalità. Ma ben diverso è il cupo messaggio del pozzo, ove cade la carrucola. E’ il feretro che viene deposto nella tomba, per polverizzarsi lentamente e progressivamente, come lascia intuire l’autore, aggiungendo

… e  ritorni la polvere alla terra, 

come’era prima …

Suggestione da peccato originale: “polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Genesi 3,19) e da mercoledì delle ceneri. E’ questa la sanzione che Dio infligge ad Adamo, dopo commessa la malefatta originaria.

Ma non finisce così, perché il Qoelet fa un ardito rimbalzo verso l’alto. E’ vero: il nostro carname vada pure a finire sotto terra o nel forno crematorio

          … e il soffio vitale torni a Dio che lo ha dato.

In altre parole muore solo il corpo ma non l’anima. Un ragguardevole pezzo di noi sopravvive. Qoelet è uomo dell’Antico Testamento, non ancora sfiorato da sospetti di risurrezione, che pur già vi troviamo in ordine sparso. Non giunge ancora a parlare di eternità, ma col suo raffinato pensiero per lo meno la sfiora. 

E la conclusione è il deluso ritornello, disseminato nel corso della sua meditazione che si estende per dodici capitoletti:

Vanità delle vanità, tutto è vanità.

Vanità delle vanità è il modo ebraico di fare il superlativo. Qualcuno infatti traduce “vanità immensa”.  Vanità non nel senso di ostentazione, esibizionismo, ma nel senso di vuotaggine, inconsistenza, insignificanza. Tale è per lui la vita umana. Abbiamo quindi la prova che la Bibbia, mandando in onda l’uomo nella sua variegata tipologia mentale, accoglie anche il libero pensiero, seppure come provvisorio tentativo verso le certezze che ci arreca il Nuovo Testamento.

Oggi si cerca di camuffare la “triste vecchiezza” (Leopardi) con giovanilismo verbale e atletico. Non siamo più vecchi ma anziani. Non siamo più pensionati ma approdati alla “terza età”. Non solo. Trovo già mostruoso il pugilato femminile, nel quale ravviso un oltraggio alla letteraria gentilezza femminile. Trovo grottesca l’idea, che si sta sperimentando, di munire di palestra strutture per anziani, non soltanto per lubrificare finché si può i loro naturali, necessari movimenti; ma per esercitazioni atletiche che arrivano sino al pugilato, e per giunta tra vecchiette! Telegiornale di ieri (24/02). Quindi: pugilato maschile, pugilato femminile, pugilato femminil-geriatrico. Poveri noi …