beata Alfonsa Clerici
pellegrinaggio virtuale con la beata Alfonsa Clerici
Siamo giunti alla quinta tappa del pellegrinaggio virtuale pensato dalle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza, un tempo presenti e operative a Vercelli. Questa volta lo scritto precede e prepara alla celebrazione dei 10 anni dalla traslazione dei resti mortali della beata Alfonsa nella cappella del crocifisso nel duomo di Vercelli.
La beata Alfonsa e l’attenzione ai giovani
La missione educativa di suor Alfonsa si inscrive nel carisma educativo della sua famiglia religiosa, che pone al centro della spiritualità e dell’apostolato il mistero della Redenzione. Nel collegio di Monza e all’Istituto della Provvidenza a Vercelli, la Beata cercò di tradurre nel vissuto di una comunità educante l’obiettivo di «onorare il Sangue Preziosissimo di Gesù allevando a Dio le tenere anime delle giovanette» (cfr. Supplica a S. Giuseppe, 20 luglio 1870).
L’insegnamento della fondatrice, venerabile madre Maria Matilde Bucchi – considerare le alunne come rivestite del Sangue di Cristo – restava anche per lei, come per ogni Preziosina, una vocazione a collaborare con Cristo al compimento del suo mistero pasquale nell’oggi della storia. La beata Alfonsa non propose una pedagogia astratta, generica, puramente didascalica; utilizzò è vero, parole e fatti, consigli e azioni, disposizioni e correzioni, ma con riferimenti molto concreti nelle vicende di ogni giorno. Un’azione educativa, quindi, costantemente in tensione verso l’obiettivo finale: insegnare alle giovani a realizzare in pienezza quel progetto secondo il quale «erano state scelte in Cristo prima della creazione del mondo» (Ef 1,4-5).
Il ricordo di uno sguardo, di un gesto da altri negato, si è impresso nell’anima delle sue allieve come una carezza liberatoria dalla paura e dall’angoscia. Fermezza e indulgenza sono ampiamente riconosciute nella Beata in una convergenza essenziale e convincente: «Il clima del Collegio, piuttosto austero, non ci impediva di fare delle birbonzate… Suor Alfonsa però non ci sgridava con severità o stizza, ci riprendeva con garbo; non inaspriva mai nessuno, neppure quando doveva fare qualche osservazione; non ci umiliava, non ci indispettiva.
La sua parola dolce e forte persuadeva, incoraggiava, riprendeva se necessario, ma con tanto garbo che non disgustava mai e lasciava in tutte serenità e un vivo desiderio di diventare migliori». Gli sbagli, le marachelle, le birbonate finivano per diventare, per quelle giovani, buone occasioni per ricevere una carezza da suor Alfonsa.
Disciplina come necessario supporto a un’armoniosa crescita umana e culturale delle giovani; serietà negli studi come necessaria premessa a un’adeguata preparazione professionale; formazione spirituale proposta con intelligenza e seguita con unanime consenso nell’intento di condurre ogni ragazza al graduale riconoscimento della propria vocazione.
Per raggiungere questo obiettivo, suor Alfonsa utilizzava gli strumenti educativi di cui poteva disporre; tra quelli di primaria importanza il lavoro, organizzato in vari settori nei quali le giovani venivano occupate. «La nostra giornata era molto bene organizzata – si legge in una testimonianza – c’erano la scuola interna elementare, il laboratorio di ricamo, maglieria, rammendo, stireria per le ragazze più grandi, secondo le capacità di ciascuna». Suor Alfonsa faceva in modo che tutte le ragazze si sentissero valorizzate, partecipi della vita dell’Istituto, utili alla comunità.
Rettitudine e bontà, fermezza e larghezza di cuore, capacità di intuire le attese profonde delle allieve, doti che non si possono improvvisare, perché acquisite attraverso un impegno quotidiano. La Beata ne era consapevole e lo conferma una pagina del suo diario, nella quale chiede al Signore di aiutarla a vivere la sua missione con la sapienza del cuore: «Fammi una vera educatrice, quale Tu mi vuoi nella mia vocazione di Suora del Preziosissimo Sangue. Fa’ che io attinga dalla tua sapienza, per queste giovinette, la parola santa che dirada le tenebre della mente e dal tuo amore la carità che non soffre simpatia né antipatia, la carità che ama senza egoismo».
Dalla testimonianza alle parole di papa Francesco
Racconta il Santo Padre: «Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto che cosa vedo io quando penso a un giovane. La mia risposta è stata: “Vedo un ragazzo o una ragazza che cerca la propria strada, che vuole volare con i piedi, che si affaccia sul mondo e guarda l’orizzonte con occhi colmi di speranza, pieni di futuro e anche di illusioni. Il giovane va con due piedi come gli adulti ma, a differenza degli adulti, che li tengono paralleli, ne ha sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare. Sempre lanciato in avanti. Parlare dei giovani significa parlare di promesse, e significa parlare di gioia. Hanno tanta forza i giovani, sono capaci di guardare con speranza. Un giovane è una promessa di vita che ha insito un certo grado di tenacia; ha abbastanza follia per potersi illudere e la sufficiente capacità per poter guarire dalla delusione che ne può derivare”» (CV 139).
Con i giovani, prosegue papa Francesco, «va privilegiato il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale ed esistenziale che tocca il cuore, raggiunge la vita, risveglia speranza e desideri. Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo. Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente» (CV 211).