IV Domenica di Pasqua Anno C
don Luciano Condina commenta il Vangelo di Gv 10,27-30
Seguiamo la voce del buon pastore che risuona di dolcezza
Nella domenica tradizionalmente detta “del buon pastore” celebriamo Gesù che, parlando dei suoi discepoli, dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27). In questa frase c’è tutto il Salmo 95: «Voi siete gregge del mio pascolo, ascoltate oggi la mia voce, non indurite il cuore come a Meriba»; il salmo con cuila Chiesa prega ogni mattina nell’invitatorio per ricordare qual è la qualità del suo rapporto con Dio.
In quest’affermazione di Gesù notiamo subito una particolarità: quando un pastore pascola il gregge, generalmente sta sempre per ultimo, dietro agli animali e non davanti, com’è invece nell’immagine descritta da Gesù. Il bastone pastorale del vescovo, infatti, con le estremità dalla duplice forma – a punta e a uncino – rimanda alla duplice attività che il pastore al fondo del gregge è chiamato a svolgere: per le pecore riottose e lente serve la punta per pungerle e stimolarle ad andare avanti; per le pecore disorientate e fuggiasche serve invece l’uncino con il quale afferrarle affinché non si perdano e non periscano.
Qui invece ciò che tiene insieme il gregge è la voce del pastore, che riconoscono e seguono. Dio non lo vediamo, ma possiamo ascoltarne la voce. E, come già detto in altre occasioni, l’udito è superiore alla vista per la relazione.
«Se tu non mi parli io sono come chi scende nella fossa» proclama il salmo 28, e «non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» sttolinea Gesù nel deserto al maligno (Mt 4,4). La seconda Persona della Trinità è appunto il Verbo, la Parola, ed è attraverso il suo ascolto che l’uomo è chiamato alla salvezza nell’accogliere la fede.
È interessante notare che in ebraico i verbi “ascoltare” e “obbedire” coincidono. E anche in latino la parola “obbedire” deriva da ob-audire, che vuol dire “dall’ascolto”.
«Io le conosco» dice Gesù delle pecore: che bello essere conosciuti! Significa essere compresi nelle gioie, nei dolori, nelle esigenze, negli sbagli. Essere conosciuti significa essere amati; e non è un caso che “conoscere” in ebraico sia proprio il verbo che indica l’intimità più profonda che ci può essere tra due persone.
L’amore non è una questione di appagamento ma di relazione profonda, che accetta sino il fondo la povertà e il peccato dell’altro.Il buon pastore ci conosce nei meandri più oscuri… e continua ad amarci! Questo può farlo solo Dio, perché le persone, quando scoprono le nostre parti oscure, fuggono a gambe levate.
«Io dò loro la vita eterna» (Gv 10,28): chi ha questa relazione intima con il buon pastore ha il cuore trasformato, segnato da una tenerezza sublime e trascendente, che lo porta a profumare di cielo, a emanare quanto Gesù gli comunica. E questo dono diventa subito regalo per tutti, non solo per il beneficiato.
Tutta la dinamica della vita morale è espressa in quest’immagine: le pecore camminano nella direzione giusta non a forza di colpi e forzature (che rappresenta la fredda osservazione delle regole) ma spinte dalla dolcezza, dall’amore che provano per la voce del Signore. E quando uno è innamorato è in grado di fare qualunque cosa per la persona che ama.
Il curato d’Ars, criticato dai suoi confratelli – un pizzico invidiosi – perché da lui arrivavano persone da tutte le parti limitrofe e anche oltre, rispondeva così: «Se alle pecore date acqua, queste vengono». Seguiamo dunque la voce buona del pastore, “bussola” per arrivare alla meta che vale davvero.