VI Domenica Pasqua Anno C
don Luciano Condina commenta il Vangelo di Gv 14,23-29
Gesù ci chiede di amarlo sinceramente. Solo così avremo la pace del cuore
«Amatevi come io vi ho amato e da questo tutti sapranno che sarete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Gesù dona il comandamento nuovo. Perché “nuovo”? Perché in questa forma non era ancora stato formulato, in quanto parte dell’uomo nuovo. Ecco il cuore della vita cristiana: l’amore fraterno. E il comandamento esprime la forma più alta della “regola d’oro” ossia il fare agli altri ciò che si desidera venga fatto a noi.
Il problema è come arrivare a questo amore, come renderlo una realtà operativa, vissuta, non solo un discorso su valori astratti che ci lasciano come siamo. Il passo del vangelo contiene il mistero dell’evoluzione che – dal vecchio – giunge al comandamento nuovo. Vediamolo.
Gesù dà questo impegno nell’ultima cena in un preciso momento, subito dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo. E dice: Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato» (Gv 13,31). Esistono, quindi, delle tappe da percorrere per arrivare a questo amore: bisogna passare per l’esperienza della gloria di Dio incontrando la gloria di Cristo.
Il termine ebraico kabod (“gloria”) indica il peso, la verità, il mistero, la sostanza di una cosa. Gesù mostra la sua gloria proprio nel momento in cui Giuda sta andando a tradirlo. Significa che, per arrivare all’amore di Cristo, bisogna passare dal farsi carico dell’ingiustizia dell’altro: in questo caso l’esperienza drammatica del tradimento di Giuda.
Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine, si legge nel Siracide (11,28). Per vedere la verità di un uomo bisogna un po’ spremerlo, metterlo sotto pressione; Cristo, messo sotto la pressione del tradimento, del male dell’uomo, produce il suo succo migliore. La gloria da conoscere è la risposta di Gesù ai nostri peccati e tradimenti.
Dio è glorificato in Cristo, e noi lo conosciamo veramente solo quando ci lasciamo inondare dalla sua risposta misericordiosa al nostro male. Solo a questo punto, finalmente, possiamo capire il comandamento nuovo. «Così come io ho amato voi»: Gesù parla della gloria appena apparsa attraverso il male che ha catturato il cuore di Giuda, il quale permette a Cristo di manifestare il suo amore mansueto, immediatamente successivo al tradimento. La forza per amare scaturisce dall’avere constatato il nostro male e aver visto la risposta di Dio al nostro male, l’amore e la misericordia perfetta.
Non sono i giusti che sanno amare, ma quelli che si ritengono ingiusti; perché i primi si sentono buoni e fanno le cose a misura di quello che loro credono di saper fare. I secondi perdonati, invece, sono in grado di amare perché hanno conosciuto il proprio limite come gli apostoli dopo l’ultima cena.
Dobbiamo scendere dal nostro piedistallo, dalle convinzioni su noi stessi e scoprire continuamente come Cristo ci ha amato. Da lì in poi sgorgherà un dolce, intimo debito nel cuore perché è impagabile essere stati trattati come non meritiamo.
Il cristiano è un superbo disarcionato, un saccente umiliato e ridimensionato, amato nel suo male. Ed è per questo che i cristiani si accolgono gli uni gli altri e si servono gli uni gli altri, perché sono stati serviti gratuitamente senza merito. È l’amore incondizionato di Dio che ci fa cristiani e, se non amiamo il prossimo, se non siamo capaci di servizio e di accoglienza reciproca, alla radice è perché crediamo di essere noi la fonte dell’amore.
Per fare un santo ci vuole un peccatore perdonato.