XII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Per ben tre volte nel brano di Vangelo odierno Gesù invita i suoi a non avere paura. Il primo ambito in cui il discepolo è incoraggiato a superare i suoi timori è quello della testimonianza: coloro che seguono il Maestro sono infatti chiamati a svelare al mondo la bellezza e la grandezza del suo messaggio, devono rivelarne la stupenda luminosità. Perché questo possa accadere è necessario superare il bisogno di proteggere la propria vita a ogni costo, con ogni mezzo. Qualche pagina dopo, al capitolo 16, Gesù ribadirà ai suoi che “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà”, mentre chi vorrà perderla per causa sua “la troverà”. Con queste parole Gesù ci offre un criterio fondamentale per impostare il nostro modo di vivere, una chiave di lettura valida per l’uomo di sempre e forse soprattutto per l’uomo d’oggi. La ricerca esasperata del benessere che caratterizza il mondo occidentale non costituisce altro che un’attenzione esagerata a preservare il corpo, dimenticando che la mancata cura dell’anima, di quell’interiorità capace di renderci pienamente umani, è l’unica realtà grazie alla quale possiamo essere veramente vivi. Corpo e anima, infatti, non sono due entità dicotomiche, opposte, dove ora prevale l’una ora l’altra; con o senza l’anima il corpo è destinato a perire, mentre l’anima contiene un principio di vita eterna che, se custodito, consentirà all’uomo di diventare partecipe della risurrezione di Cristo e, di conseguenza, di non morire mai.
Si tratta di parole che, in quanto in gioco è la nostra vita, interpellano profondamente e invitano a domandarsi quali sono gli atteggiamenti con cui potremmo collaborare per uccidere la nostra anima. Forse la ricerca spasmodica del denaro, del potere, del benessere o del successo, tutti modi di essere autoreferenziali, che privilegiano la nostra creaturalità e ci impediscono di vivere secondo la nostra vera natura, quella di persone capaci di amare. Non si tratta, quindi, di decidere in merito a quale parte di noi vogliamo tutelare, proteggere e preservare, ma di custodire in noi l’anima, ciò che dà vita alla nostra vita, quella scintilla di eternità che permetterà al nostro corpo, comunque destinato a perire, di prepararsi ad accogliere il dono della risurrezione.
È dunque necessario essere vigilanti, impedire la morte della nostra anima e a tal fine Gesù suggerisce non solo gli atteggiamenti che è bene evitare ma anche quelli da assumere, in primo luogo la fiducia. Una fiducia che Gesù ci presenta non come un atto folle e immotivato poiché Colui a cui la doniamo non è un Dio giudice severo, ma un Padre attento perfino a ciò che a noi potrebbe apparire insignificante, come la vita di un passero a cui normalmente non attribuiamo una grande importanza. Non è solo al Padre, però, che dobbiamo fiducia, ma anche a Gesù stesso: se il primo, infatti, è presentato come Colui che custodisce la nostra vita fino al punto di prestare attenzione e contare i capelli del nostro capo, il secondo si manifesta come il grande mediatore, colui che è disposto a difendere e prendere le parti di tutti quelli che gli rendono testimonianza davanti agli uomini.