XVII domenica del Tempo Ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Ancora una volta in questa XVII domenica del Tempo Ordinario la liturgia propone un testo tratto dal discorso in parabole: uno stile letterario in cui non troveremo sofisticati ragionamenti e sottili distinzioni, ma paragoni che stimolano domande e riflessioni e, di conseguenza, ben si addicono per parlare del regno dei cieli.
Le prime due parabole sono molto simili: descrivono la stessa situazione da due prospettive diverse, una più statica e l’altra più dinamica. La prima dipinge il regno dei cieli come un tesoro: una realtà che nell’immaginario collettivo richiama contemporaneamente l’idea della preziosità e quella dell’avventura. Proprio perché lo ritiene di grande valore l’uomo che lo trova casualmente, senza averlo cercato, è disposto a compiere ciò che i benpensanti potrebbero considerare come una follia: vendere tutti i suoi averi pur di acquisirne la proprietà. L’effetto di questo gesto apparentemente scriteriato è tuttavia la gioia. Esiste quindi in questo mondo una realtà così unica, così preziosa per cui vale la pena di rinunciare a tutto il resto, consapevoli però che il sacrificio di tutti gli altri beni non avrà come effetto angoscia e tristezza, ma la felicità che nasce dal possesso dell’unico oggetto insostituibile, il solo a cui si può attribuire un inestimabile valore.
La seconda parabola ha invece come protagonista un uomo, un cercatore di perle preziose. In questa deliziosa immagine troviamo descritta una dimensione dell’animo umano a cui non sempre prestiamo attenzione, ma che tuttavia ci abita, ci contraddistingue e differenzia dalle altre creature. La tensione verso la trascendenza, la bellezza, il bene, verso ciò che è buono, giusto e dà senso alla vita è una forza presente nel profondo della nostra interiorità; si tratta solo di prestarle attenzione e disseppellirla, come suggeriscono le parole di questo poema scritte da un mistico induista: “Immergiti nel profondo, sempre più in fondo, come un pescatore di perle, anima mia, e cerca, cerca senza stancarti”. Il verbo “cercare”, che nella parabola descrive l’attività del mercante, evoca un atteggiamento attivo: il regno dei cieli non è solo un tesoro offerto e donato ma è anche un bene prezioso che richiede di essere riconosciuto come tale, preferito rispetto a tutto il resto e, di conseguenza, desiderato e cercato. Ancor prima di mettersi all’opera il mercante si sarà interrogato in merito a quale fosse l’oggetto verso cui orientare la sua attenzione e le sue iniziative o, ancor meglio, a che cosa donare il proprio cuore, gli affetti, i pensieri, la volontà. Una scelta importante, capace di far convergere tutta la sua persona verso un unico scopo: il ritrovamento della perla preziosa.
Una decisione che ci interpella rispetto alla nostra vita, dove la superficialità e la dissipazione possono trattenerci dal dirigere tutte le nostre forze verso l’acquisizione di quei beni che né le tarme né la ruggine consumano (cf Mt 6,20), in particolare verso quell’oggetto dal valore inestimabile e inestinguibile per cui vale la pena rinunciare a tutto il resto: l’amore, di cui san Paolo dice che “non avrà mai fine” (1Cor 13,8); l’unica realtà che, dunque, non solo resiste all’usura del tempo ma, al contrario, ci introduce in quel tempo che porta il nome di eternità.