XXIII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

È utile ricordare che la pericope proposta oggi dalla liturgia è inserita in un discorso più ampio, che normalmente viene definito come discorso ecclesiale o discorso comunitario. Visto in un contesto più vasto, non si correrà il rischio di leggere questo brano come un insieme di norme da seguire di fronte alla presenza del peccato nella comunità. La parabola che precede questo testo può essere considerata la chiave di lettura di tutto quanto segue: è la storia del pastore che lascia le sue novantanove pecore sui monti per andare a cercare quella smarrita, parabola che si conclude con questa affermazione: “Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli che neanche uno di questi piccoli si perda”. Il motivo della prassi da tenere nei confronti del fratello che commette una colpa non è, quindi, né la punizione per il male commesso né il ripristino dell’ordine, ma la cura verso qualcuno che deve essere considerato fratello, l’avere a cuore la sua vita, facendo sì che egli non si smarrisca. È questo il criterio di quanto viene descritto in modo dettagliato nel Vangelo di oggi: se il fratello perde la strada, come la pecora della parabola, è bene cercare di recuperarlo adottando una gradualità di interventi affinché, come dice appunto il versetto che precede immediatamente la nostra pericope, “neanche uno di questi piccoli si perda”. Questa è, infatti, la “volontà del Padre” che la comunità dei credenti deve fare sua. Come in ogni comunità anche nella Chiesa possono nascere tensioni, conflitti e un fratello può commettere una colpa grave nei confronti di un altro fratello. La prima indicazione che troviamo nel testo è che tale colpa non va ignorata: far finta che non esistano problemi, infatti, è il modo migliore per indurre l’altro a sbagliare ulteriormente. Se la modalità deve essere rispettosa e graduale, la correzione fraterna rimane comunque un pilastro indispensabile della vita comune. Talmente indispensabile che, nel caso in cui chi ha commesso una colpa non sia disposto ad ascoltare i numerosi e rispettosi tentativi con cui la comunità desidera “guadagnare il suo ritorno”, non si potrà fare altro che ratificare quanto egli ha già realizzato: il distacco dalla comunità. Non si tratta, dunque, di un rifiuto o di una punizione, ma della convalida di qualcosa che il colpevole aveva già compiuto: non accettare le ammonizioni del fratello significa, infatti, escludersi dalla comunità, così come avveniva per i pagani e i pubblicani, considerati estranei rispetto al popolo di Israele. La correzione fraterna non esaurisce certamente la vita della comunità, chiamata in primo luogo a far crescere la comunione tra i fratelli e con Dio. Per tale motivo la preghiera ha un ruolo essenziale: essa crea il legame tra coloro che sono chiamati a mettersi d’accordo su che cosa chiedere e, nello stesso tempo, approfondisce la relazione con Dio. Il Padre, infatti, è disposto a concedere “qualunque cosa” quando le preghiere nascono dal comune discernimento dei fratelli “riuniti nel suo nome”, dove Gesù è davvero una presenza reale e vicina per i suoi.