XXXII domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Nell’ascolto della parabola che oggi la liturgia ci propone possiamo lasciarci incuriosire dal fatto che il regno di cieli sia “simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo”. Il lettore, che conosce il seguito del racconto, potrebbe domandarsi come mai in questa immagine con cui si descrive il regno di Dio siano incluse tutte le vergini, sia le sagge che le stolte. Queste ultime non dovrebbero essere escluse sin dall’inizio, come invece avverrà in seguito? A tale apparente contraddizione si potrebbe tuttavia replicare che in questa prima parte della parabola viene tratteggiato il regno di Dio così com’è, quale il Padre ce lo offre prescindendo dalla nostra risposta. Scopriamo allora che questo regno comporta un uscire, una tensione che orienta verso un oltre, ci spinge al di fuori di noi stessi, oggi si direbbe al di là della nostra “comfort zone”. È necessario, però, munirsi di una lampada, uno strumento che permette di vedere e prepara la realizzazione dello scopo di tale uscita: l’incontro. Il regno dei cieli, infatti, non è un semplice andare, non è nemmeno assimilabile a un’avventura ma ci è offerto dal Pa- dre come un ritrovarsi con Colui che è l’atteso, con lo Sposo. Ci viene così proposta un’immagine gravida di speranza e di vita. Il nostro andare ha un senso e questo senso è qualcuno a cui saremo uniti con una relazione così intima e profonda quale quella tra la sposa e lo sposo. Il resto della parabola sembra descrivere il modo in cui l’uomo, chiamato a questo incontro, può rispondere. Egli sa che nessuno conosce l’ora in cui lo Sposo verrà e sa anche che Egli potrà tardare. È anche consapevole della sua fragilità e di come, nel corso di questa lunga attesa, dovrà adattarsi alle esigenze della vita, avrà bisogno di dormire e di molto altro. La parabola mette infatti in risalto come l’addormentarsi di tutte le vergini non costituisca un problema, perché l’importante è tenere sempre viva la lampada per riconoscerlo quando verrà. È la lampada della fede, della vigilanza, della Parola, ma soprattutto dell’amore che non si spegne ma rimane sempre acceso, proprio come quello della sposa del Cantico che dice: “Io dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5,2); è il desiderio dell’incontro che mantiene il cuore vigilante e pronto, appena ode un grido nella notte, per andare incontro allo Sposo. In un mondo che, dopo aver trasformato la morte in tabù, ora ritorna a parlarne per tentare di trovare un modo per affrontarla, il cristiano sa che quanto lo attende non è un salto nel buio ma un incontro, un abbraccio. Per questo può pensarsi non solo come la vergine saggia che tiene la scorta di olio in piccoli vasi, ma anche come la voce che grida annunciando l’arrivo di Colui che viene per donarci il suo amore. Che cosa pensare, però, del rifiuto da parte delle cinque sagge di condividere il loro olio con le altre? Potremmo essere indotti a ritenere che si tratta di un atteggiamento egoistico, ma non è questo quanto la parabola vuole comunicarci; essa intende piuttosto esprimere l’impossibilità di sostituirsi all’altro nel suo rapporto con il Signore. Ogni relazione, infatti, è unica, personale e nessuno può prendere il nostro posto nella preparazione all’incontro con lo Sposo.