Anno della Fede 2013

La fede non è solitaria come il passero di Leopardi, ma coabita con altre Virtù che le sono quasi gemelle: la speranza e la carità. Questo terzetto prende il nobile titolo di Virtù teologali, perché in vario modo si riferiscono a Dio e lo presuppongono: se Dio non c’è di mezzo, perdono funzione e significato.

Paolo ama menzionarle insieme: «… avendo avuto notizia della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi a causa della speranza che vi attende nei cieli» (Col 1,4-5a). E ancora: «Noi invece …

siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza» (1 Ts 5,8). Paolo dunque, per non smentire il suo animo battagliero, arriva sino a militarizzare le pacifiche Virtù teologali, metaforizzandole però in armi di difesa e non d’attacco. Ne salta fuori un’immagine dinamica e vivace.

E anche la liturgia, “paolinamente” addestrata, infila in una preghiera (domenica XXX tempo ordinario) le nostre tre Donne – come le immagina Dante (Purg. XXIX 121) – chiedendone l’aumento: «… accresci in noi la fede, la speranza e la carità …». Non sono a noi concesse in misura standard ma sono suscettibili di incremento, diversamente i discepoli di Gesù non avrebbero chiesto: «Accresci in noi la fede» (Lc 17,6). E così, ancora vagolando per il Messale, alla domenica XVI del tempo ordinario leggiamo in colletta: «… ardenti di speranza, fede e carità …». Ardenti va bene per il ferventes latino, che suggerisce l’idea di un surriscaldamento spirituale. Le Virtù teologali quando allignano nel cuore umano non lo lasciano indifferente. Le troviamo poi orientate in direzione cristologica nel quinto Prefazio comune (Messale p. 372):

Uniti nell’amore celebriamo la morte del tuo Figlio, / con fede viva proclamiamo la sua risurrezione, / attendiamo con ferma speranza la sua venuta nella gloria.

Bella e lucida composizione, resa bene anche in traduzione. Dimostra con grande economia di linguaggio come le tre Virtù siano indispensabili per un corretto rapporto con Cristo, nella sua vicenda pasquale di morte e risurrezione.

In esordio le ho dette gemelle, il che farebbe pensare a un rapporto paritetico. Paolo invece riconosce alla carità un “diritto di maggiorasco”: «Ora rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!». Ha ragione: Dio è amore (1 Gv 4,8. 16) e il rapporto con Lui è ritmato sull’amore vissuto in eterno. Nell’altra vita, quando Dio sarà sotto gli occhi, fede e speranza potranno andare in pensione. La carità no.