Seconda domenica di Avvento
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Il Vangelo della prima domenica di avvento aveva presentato un duplice invito: “Fate attenzione, vegliate” con cui veniva suggerito l’atteggiamento da assumere in questo tempo di preparazione al Natale. Oggi la Parola di Dio spiega innanzitutto il motivo per cui siamo esortati a vegliare; eccolo: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, figlio di Dio”. Ci troviamo così di fronte al Vangelo, vale a dire a una buona notizia, a un annuncio gioioso che riguarda Gesù e di cui viene narrata l’origine, il principio. Per tale motivo siamo invitati a vigilare, a preparare il cuore con gioia e trepidazione per ricevere il messaggio più pacificante, più sereno e rassicurante che poteva venirci proposto, un
messaggio che porta un nome ed è una persona: Gesù. Subito dopo questo brevissimo esordio, e diversamente da quanto avviene in Matteo e Luca che narrano invece i Vangeli dell’infanzia, viene introdotta la preparazione del ministero pubblico di Gesù attraverso un altro personaggio: Giovanni Battista; di lui è detto che cosa faceva, come viveva e il contenuto di quanto proclamava. Egli viene fatto conoscere prima di tutto attraverso la rilettura di un brano dell’Antico Testamento, che lo presenta come “messaggero” e “voce”. Entrambe le definizioni evidenziano come Giovanni non sia il protagonista della narrazione, ma si collochi invece in funzione di un altro che egli è chiamato ad annunciare, sia relativo a una Parola a cui egli presta la voce. Giovanni proclama un “battesimo di conversione per il perdono dei peccati”. Il termine “battesimo” evoca immediatamente in noi l’idea del sacramento; qui, invece, ci si riferisce semplicemente a un atto penitenziale: la gente accorre da tutta la regione della Giudea e da Gerusalemme per immergersi nelle acque del Giordano ed essere purificata dai propri peccati. Marco ci offre poi un ritratto del Battista attraverso la presentazione di due elementi che permettono di conoscerlo più da vicino: la veste e il nutrimento. L’abito è simbolo dell’identità e spesso esprime il desiderio di voler apparire; nel caso di Giovanni esso è povero e rude, segno di quel desiderio di “diminuire” che, come scrive l’evangelista Giovanni (Gv 3,30), ne caratterizza la personalità. Il cibo, invece, richiama la soddisfazione dei bisogni più elementari; l’austerità del precursore mette dunque in risalto il suo desiderio di altro, l’attesa di Colui che viene dopo di lui, ma che egli sembra già conoscere e aspettare. Nella sua estrema umiltà Giovanni riconosce la superiorità dell’atteso, descritto come “più forte” e rispetto al quale egli sente di dover rinunciare a esercitare ogni diritto: egli è venuto prima, ma ora deve cedere il passo a uno molto più importante di lui. Slegare i lacci dei sandali, infatti, non esprime solo l’umile gesto dello schiavo nei confronti del suo padrone ma costituisce un’antica consuetudine del mondo ebraico attraverso la quale si cedeva un diritto a un’altra persona. È proprio in questa capacità di fare spazio a un altro – o meglio, all’Altro con la lettera maiuscola – che Giovanni diventa voce ed esempio per noi, che in questo avvento siamo chiamati a mettere da parte il nostro Io affinché il Signore che viene trovi nei nostri cuori lo spazio per abitare l’interiorità e trasformarla con la sua presenza.