La solennità di Pentecoste

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il brano che oggi la liturgia ci propone in questa solennità della Pentecoste raccoglie due pericopi tratte dal vangelo di Giovanni, in cui Gesù parla esplicitamente dello Spirito di verità e descrive il rapporto e la funzione che esso ha nei suoi confronti e in quelli dei discepoli. Nel capitolo 14 egli aveva già parlato del Paraclito come di colui che sarebbe rimasto per sempre con i suoi (cf Gv 14,16) e aveva anche precisato il modo della sua presenza: “egli rimane dentro di voi e sarà in voi” (Gv 14,17). All’Ascensione il contatto percepibile ai sensi con il Signore risorto lascia il posto non al vuoto ma a un’altra modalità di relazione. La Pentecoste, infatti, permetterà di sperimentare una nuova presenza: quella del Paraclito, l’advocatus che, come dice il termine stesso, è chiamato presso di noi e dimora in noi. Tale “dimorare” non corrisponde a uno stare passivo, ma all’operare e all’agire di una persona viva. Nel brano di oggi viene messo prima di tutto in risalto un aspetto del suo modo di procedere e una sua funzione: egli è chiamato a rendere testimonianza a proposito di Gesù. Quando questi era con i suoi, aveva donato loro la sua parola ma gli eventi verificatisi durante la sua passione, uniti alle incertezze e ai dubbi che hanno abitato i discepoli nel tempo dopo la resurrezione, dimostrano come il suo messaggio non fosse stato pienamente accolto e assimilato. L’invio del Paraclito rivela così la delicata attenzione del Padre e del Figlio nei confronti dell’uomo; lo Spirito, come scrive san Paolo, “viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8,26) e rende testimonianza di Gesù aiutandoci ad assimilare la sua parola e a penetrare sempre più il suo mistero. Egli rafforzerà così la loro fede e li renderà capaci di testimoniare e diffondere il suo messaggio davanti al mondo. Il brano successivo, tratto dal capitolo 16, precisa ulteriormente in che cosa consiste l’azione dello Spirito. Egli guida a tutta la verità: così come aveva fatto Gesù con i discepoli di Emmaus il Paraclito, benché dall’interno del cuore, aiuta ad approfondire il significato di tutto ciò che è accaduto. Egli, però, non si limita a favorire l’interpretazione di quanto è avvenuto, ma introduce i discepoli in “tutta la verità” e, quindi, nella rivelazione del presente del Cristo glorificato. L’agire e il parlare dello Spirito, precisa Giovanni, non sono segno di autonomia, ma di comunione. Egli, infatti, non parla da sé stesso, poiché le sue parole sono il frutto del legame profondo presente nel cuore della Trinità, dove tutto è unità e armonia. Lo Spirito rivela “tutto ciò che avrà udito”, quale fedele e attento ascoltatore della parola del Figlio che, a sua volta, aveva dichiarato di dire al mondo le cose udite dal Padre (Gv 8,26). Egli, inoltre, “annuncerà le cose future”; anche qui si evidenzia un compito che ovviamente non consiste nel predire quanto avverrà ma piuttosto nello svelare il senso della storia, una storia da interpretare con uno sguardo trasfigurato dalla frequentazione della Parola. La funzione del Paraclito, però, non si limita a far conoscere e interpretare il mistero del Signore, ma comporta la glorificazione di Gesù attraverso il prendere “da quel che è mio”. Al Risorto appartengono la vita e l’amore e sono proprio questi i beni incommensurabili di cui, come una buona madre, lo Spirito nutre i discepoli rendendoli atti a partecipare alla gloria del Figlio, al peso splendente e luminoso del suo amore.