XVI domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Il Vangelo di oggi offre la possibilità di contemplare il cuore di Gesù, cuore di un pastore ben diverso da quelli descritti dal profeta Geremia nella prima lettura; questi disperdono le pecore, le scacciano, non se ne preoccupano; Gesù, al contrario, proprio come il “germoglio giusto” che il Signore promette di suscitare, si fa carico delle loro necessità e se ne prende cura. La pericope descrive due scene diverse, separate da un breve intermezzo: un viaggio in barca verso un luogo in disparte. La prima scena è a carattere più intimo: i Dodici, che il Maestro aveva inviato a due a due, al loro ritorno si riuniscono intorno a lui e gli riferiscono quello che hanno fatto e insegnato. Il cuore del pastore si manifesta in questa attenzione e vicinanza grazie alla quale il missionario non si sentirà solo o abbandonato, ma sarà invece rassicurato, rincuorato dalla cura e dalla partecipazione di colui che lo invia. Una breve annotazione dell’evangelista ci fa comprendere quanto intensa fosse l’attività di Gesù e dei suoi: la folla va e viene con una frequenza tale che essi non hanno nemmeno il tempo di mangiare. Nella sua infinita saggezza Gesù si rende conto del rischio che gli apostoli possono correre; la mancanza di nutrimento per rispondere ai bisogni della gente può costituire un pericolo per il corpo ma anche per lo spirito: i discepoli, infatti, possono ubriacarsi di attività, anche con grande dedizione e generosità, dimenticando però quanto sta all’origine del loro servizio, la motivazione più profonda del loro agire. Per tale motivo Gesù li conduce con lui in disparte, in un posto deserto. Qui il deserto non rappresenta tanto il luogo della tentazione, come lo era stato per il Signore all’inizio del suo ministero, quanto l’ambiente ideale per l’incontro intimo con Colui che amiamo e da cui siamo amati, come suggerisce, per esempio, un famoso testo del profeta Osea: “Ecco, io la sedurrà, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). È il luogo della fedeltà, “dell’amore al tempo del fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto in terra non seminata” scrive il profeta Geremia (Ger 2,2). Esso tutela, quindi, dal pericolo in cui spesso non solo il pastore ma anche il cristiano generoso possono incorrere: quello di dimenticare Colui che sta all’origine del nostro agire, trasformando così anche il servizio più disinteressato in un idolo fine a sé stesso e di cui non si può fare a meno. La fatica con cui tanti laici, religiosi e sacerdoti lasciano i loro incarichi manifesta quanto forte sia il rischio di “attaccarsi” a un compito e di trasformarlo in un’occasione di stima personale più che in generoso dono di sé. La folla, però, non si arrende e il modo in cui questa gente scruta i movimenti di Gesù, o addirittura li anticipa facendosi trovare nel luogo in cui sbarcheranno, aiuta a comprendere quanto intenso sia il bisogno che abita queste persone, ma non solo loro: anche noi, infatti, necessitiamo di aiuto, di guarigione, ma soprattutto di senso per l’esistenza. A loro il Signore risponde mettendosi a insegnare quella buona novella in cui anche noi troviamo il significato della nostra vita. Quell’attenzione che avevamo ammirato all’inizio della pericope verso i discepoli è ora diventata compassione nei confronti della folla, rivelando così il suo cuore di pastore che guida le pecore, se ne prende cura affinché, come scrive l’evangelista Giovanni, esse “abbiano la vita” (Gv 10,10).