XXVIII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Più volte in queste domeniche abbiamo ricordato come a Cesarea di Filippo Gesù rimproverò Pietro perché non pensava secondo Dio ma secondo gli uomini (Cf Mc 8,33). Nel brano di oggi il parlare “secondo Dio” da parte di Gesù, un parlare che lascia “sconcertati” e “stupiti” i discepoli, riguarda il tema della ricchezza: per questi ultimi, come per tutti i pii israeliti, essa costituisce un segno della benedizione di Dio mentre per il Maestro rappresenta, come si intuisce dall’immagine della cruna dell’ago e del cammello, un ostacolo che rende quasi impossibile l’accesso al Regno. Questo discorso tra Gesù e i suoi è preceduto dalla narrazione dell’incontro tra il Signore e “un tale”, un uomo di cui non conosciamo assolutamente nulla se non la stima nutrita nei confronti del Maestro, che definisce “buono” e davanti al quale si getta in ginocchio, e l’intensità del suo desiderio, così forte da indurlo a correre per porgli una domanda. Essa riguarda il modo per avere in eredità la vita eterna che, guardando le parole e le azioni sopra descritte, sembra stargli molto a cuore. La risposta di Gesù parte dall’essenziale: l’osservanza dei comandamenti, a cui l’uomo dichiara di aver aderito fin dalla giovinezza. L’ “allora” con cui l’evangelista Marco prosegue il racconto sembra sottolineare un cambiamento nel modo di porsi da parte del Maestro il quale, fissato lo sguardo su quell’uomo, “lo amò”. Non possiamo certo ritenere che prima gli fosse stato ostile o indifferente, ma l’uso di questo verbo fa piuttosto pensare a qualcosa di nuovo, alla possibilità di instaurare una vera relazione con lui senza limitarsi all’osservanza della legge. La proposta di vendere tutto, ancor più che un invito a una vita povera, è di conseguenza un modo per rendere concreta nell’esperienza quotidiana l’importanza di tale rapporto. All’interlocutore di Gesù viene quindi suggerito di comportarsi come i due personaggi delle parabole matteane (cf Mt 13,44- 46), il mercante di perle e l’uomo che scopre il tesoro del campo, i quali hanno rinunciano spontaneamente a tutti i loro averi pur di possedere il bene prezioso da loro trovato. La tentazione che accompagna ogni uomo, quella a cui cede il personaggio di questo racconto, è di cercare il compromesso, che non consiste tanto nel possedere dei beni quanto nell’attaccamento, nel legame instaurato nei loro confronti. Giustamente il Vangelo ci ricorda che è impossibile “servire Dio e la ricchezza” (Lc 16,13) non perché i beni terreni debbano essere stigmatizzati, ma per evidenziare come al cuore umano sia impossibile nutrire contemporaneamente due amori che si contrastano reciprocamente. Il brano proposto ci rivela inoltre dove trovare la gioia. L’uomo che se ne va “scuro in volto” e “rattristato” manifesta una profonda verità: la felicità non viene dal possesso bensì dalla relazione, quella con Gesù in primo luogo ma anche quella con i fratelli con cui possiamo condividere quanto possediamo. Ed è proprio per tale motivo che le parole del Maestro risultano vere: la sequela, infatti, apre alla comunione fraterna dove i beni non sono accaparrati ma condivisi e questo non solo introduce già ora nell’eternità ma permette fin da adesso di godere di tutte le ricchezze che, in quanto proprietà comune, sono anche centuplicate.