XXX domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il personaggio al centro del racconto odierno, con cui Gesù intesse un dialogo destinato a coinvolgere non solo i presenti ma anche il lettore, è un cieco seduto lungo la strada a mendicare. Il suo nome è Bartimeo, che significa “figlio di Timeo”. Il termine “figlio” evoca un’idea di appartenenza e di cura, come suggeriscono, per esempio, lo slancio e l’insistenza con cui la donna siro-fenicia aveva chiesto a Gesù di scacciare il demonio dalla figlia (cf Mc 7,24-30). Qui, invece, non c’è un genitore disposto a offrire il suo aiuto: il padre potrebbe essere morto oppure disinteressarsi della salute del figlio come quegli altri familiari di un cieco che incontriamo nel Vangelo di Giovanni (cf Gv 9,18-23). Una situazione di derelizione quella in cui si trova l’uomo seduto lungo la strada, che tuttavia riflette la condizione di ogni essere umano: tutti, infatti, siamo ciechi, incapaci di vedere la realtà dal giusto punto di vista, quello di Dio; tutti siamo anche mendicanti che domandano stima, attenzione, affetto. I discepoli lo hanno ampiamente dimostrato quando, come abbiamo visto nei Vangeli delle scorse domeniche, hanno distolto l’attenzione dalle parole di Gesù che annunciava la sua passione per domandarsi invece chi fosse il più grande fra di loro. Di fronte alla propria miseria si può, quindi, fuggire, scappare, illudersi oppure chiedere aiuto come fa Bartimeo, il quale si rivolge a Gesù gridando: “Abbi pietà di me!”. Una supplica che non trova risposta nei cuori induriti di coloro che lo circondano, ma fa invece breccia in quello di Gesù. Un’invocazione che stupisce per l’intensità della fiducia con cui quest’uomo, abbandonato da tutti, ha ancora il coraggio di sperare al fine di ottenere l’attenzione di Gesù ed essere guarito. Dove Bartimeo trova la forza non solo per insistere nella sua richiesta nonostante l’ottusa incomprensione della gente ma anche per gettare via il mantello, unica ricchezza del povero e sua sola fonte di sicurezza? Forse è la disperazione che lo induce a insistere oppure si tratta di qualcosa di ben più profondo benché inconsapevole: nonostante l’abbandono, il rifiuto o la perdita, Bartimeo, come ogni altro essere umano, rimane “figlio” desideroso di trovare all’origine della sua esistenza un amore che non lo deluderà. Ed è proprio questa “apertura all’amore”, grazie alla quale fin dalla primissima infanzia possiamo creare legami di fiducia, che permette al cieco di rivolgersi insistentemente a Gesù e di entrare in dialogo con lui, di porre le basi della fede e di seguirlo. La fiducia iniziale è così diventata capacità di credere al bene dell’altro, di questo Rabbunì che può ridonargli la vista. La stessa apertura del cuore non è invece presente nei molti che, anziché lasciarsi toccare dalla sofferenza dell’uomo e provare compassione, lo rimproverano perché taccia. Gesù non condanna la loro durezza di cuore come avrebbero meritato, ma da bravo pedagogo usa un metodo molto più efficace: chiede loro di diventare intermediari tra lui e il cieco. Questo invito li costringe ad avvicinarsi, osservarlo in modo diverso e sostituire ai rimproveri l’incoraggiamento. All’apertura degli occhi di Bartimeo corrisponde quella del cuore dei presenti, altro miracolo – benché molto più silenzioso e discreto – compiuto da Gesù.