XXXIII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il brano odierno si colloca al centro del discorso escatologico, l’ultimo discorso di Gesù che riguarda il compimento finale della storia. Si tratta di un testo non così facilmente accessibile per noi, che non siamo abituati a questo tipo di linguaggio e spesso tentati di attribuirgli significati drammatici. In realtà, se proviamo a sfrondare il testo da quanto appartiene a un’epoca e a una tradizione, possiamo lasciarci rassicurare da un messaggio di vita e di speranza, che riguarda non solo quanto avverrà quando la storia dell’uomo arriverà a conclusione ma anche ciò che accade nella nostra vita dopo aver attraversato eventi dolorosi per noi assimilabili a vere e proprie catastrofi. Il primo elemento da evidenziare è il fatto che tutti i fenomeni apparentemente drammatici riguardano il cielo; la terra rimane intatta. Non è, dunque, questo un annuncio di distruzione, ma il preludio di un avvenimento importantissimo: la venuta del Figlio dell’uomo. Questo dato è già di per sé estremamente rassicurante: pensare alla fine della storia equivale ad attendere un volto, una presenza, ma non un volto qualsiasi, bensì il viso di colui che ha assunto la nostra carne e ha donato la vita per noi. Così ci viene descritto il compimento del tempo; nello stesso modo possiamo, tuttavia, pensare anche alla conclusione della nostra storia personale dove ad attenderci ci sarà Colui che, come scrive san Paolo, “mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me” (Gal 2,20). Il brano odierno precisa, inoltre, quale sarà l’azione che il Figlio dell’uomo eseguirà alla sua venuta: “Egli manderà gli angeli e radunerà gli eletti dai quattro venti”. Viene così descritta la realizzazione del sogno che attraversa l’Antico Testamento: il sorgere di un’alleanza estesa a tutti i popoli; in tale sogno possiamo però anche intravedere l’adempimento del desiderio più intenso e profondo custodito nel cuore di Gesù e da lui presentato al Padre nel corso dell’ultima cena: “Perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). Con la descrizione di quanto avverrà il Signore non ha tuttavia risposto alla domanda che discepoli gli avevano posto all’inizio di questo discorso: “Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno?” (Mc 13,4). Si tratta di un interrogativo che esprime il tipico bisogno dell’uomo di controllare la realtà, di prevedere il proprio futuro; esso, di conseguenza, lascia intendere la presenza di una profonda mancanza di fiducia, la difficoltà ad abbandonare il proprio futuro nelle mani di Dio. Per tale motivo Gesù non risponde precisando il giorno e l’ora, ma offrendo due criteri che permettono al cristiano di affrontare con serenità le incertezze, i dubbi e anche le notti che attraversano la sua storia. Si tratta, innanzitutto, di coltivare quella speranza che permette di “vedere oltre”, di cogliere nei piccoli segni positivi presenti nella nostra realtà, simili alle foglie tenere dell’albero di fico in primavera, le tracce del disegno di Dio che si attuerà. È il “non ancora” della vita che si poggia su un “già”, su una certezza che dà fondamento al nostro sperare. Ed è nell’assicurazione offerta da Gesù, nel carattere assoluto della dichiarazione riguardante le sue parole che “non passeranno”, che possiamo collocare la sorgente della nostra fiducia e della possibilità di guardare al futuro con speranza.