Solennità di Cristo Re dell’universo
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Siamo alla conclusione dell’anno liturgico e la Chiesa ci propone un tema di vasta portata: la regalità di Cristo Signore. Il brano tratto dal vangelo di Giovanni presenta una delle scene del processo di Gesù, che qui si trova davanti a Ponzio Pilato. Il lettore può forse rimanere stupito dalla naturalezza, dalla libertà, dalla franchezza con cui il Signore risponde al governatore romano; se quest’ultimo non facesse riferimento al fatto che il popolo e i capi dei sacerdoti gli hanno consegnato il suo interlocutore, il loro dialogo potrebbe apparire come il confronto tra due persone alla pari che si fronteggiano, dimenticando che sul capo di una pende una possibile condanna a morte. Troviamo qui una prima manifestazione della regalità del Signore il quale, benché pienamente uomo, non si lascia soggiogare dalla paura, ha una piena padronanza del suo mondo interiore e non si pone come un inferiore unicamente preoccupato di salvare la propria vita ma come chi, a testa alta, rivela all’altro il suo mistero e la sua missione. Egli è veramente il nuovo Adamo che non si nasconde e non fugge ma, in un momento profondamente drammatico, ha il pieno controllo della sua persona. Il credente troverà in tale atteggiamento uno stimolo e un insegnamento per vivere quella regalità conferitagli con il battesimo, che comporta la costante ricerca del possesso di sé e la crescita nella capacità di amare. All’interno di questo dialogo alcuni termini aiutano a meglio comprendere in che cosa consiste la regalità del Signore, in primo luogo il verbo “consegnare”. Pilato si rivolge al prigioniero che gli sta di fronte come a uno che è stato messo nelle sue mani e, di conseguenza, è in balia del suo potere. La percezione di sé stesso che Gesù manifesta è, tuttavia, ben diversa e aiuta a penetrare più profondamente il suo mistero e a comprendere come i due interlocutori appartengano a due mondi diversi. Il governatore romano fa parte di una realtà guidata dal bisogno di potere e dall’uso della violenza, una realtà che non ha nulla a che fare con il Signore, altrimenti i suoi “servitori avrebbero combattuto” per difenderlo. La sua regalità si manifesta, al contrario, come rifiuto di ogni forma di autoreferenzialità, rinuncia al bisogno di difendersi e autoproteggersi, radicale fedeltà a sé stesso e alla sua predicazione, ma soprattutto come dono d’amore; egli, infatti, non è stato consegnato da altri, ma volontariamente si consegna poiché sa che il dono totale di sé al Padre porterà come frutto la salvezza del mondo, la piena comunione tra Dio e l’uomo. In questo senso possiamo allora comprendere il significato della parola “verità”, che innanzitutto non è da interpretare in termini astratti secondo le categorie della filosofia greca. La testimonianza della verità è piuttosto quanto sta all’origine dell’incarnazione, il motivo per cui, come dice Gesù stesso, “sono nato e… venuto al mondo”, è il mistero del Padre che il Figlio ha manifestato e fatto conoscere attraverso la sua umanità. La sua regalità, quindi, non ha nulla in comune con l’illusoria potenza esercitata dagli uomini, ma è ben riassunta e sintetizzata nell’immagine di un’esistenza fondata sul messaggio delle beatitudini e, per tutti noi, da una vita secondo il vangelo, in ascolto della sua Parola affinché anche noi, come Lui, possiamo essere “dalla verità”.