II domenica di Avvento

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La liturgia della parola della Solennità odierna si apre con il racconto della caduta. “Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero”, Dio gli domanda: “Dove sei?”; ovviamente il Creatore non ha bisogno di ricevere da Adamo informazioni in merito al luogo dove egli si trova; l’interrogativo tende piuttosto a stimolare in lui una presa di coscienza rispetto alla nuova situazione di vita per aiutarlo a capire come si colloca rispetto a Dio, all’altro e al mondo. La risposta dell’uomo rivela il suo stato d’animo – la paura -, la causa che l’ha provocato – la sua nudità – e la successiva reazione – il nascondersi. L’essere nudi di cui si parla non è tuttavia da intendersi in senso letterale, poiché al capitolo precedente della Genesi si dice che “l’uomo e la sua donna, tutti e due, erano nudi, ma non ne avevano vergogna” (Gen 2,25). Con il peccato, però, il loro sguardo è cambiato, sono diventati consapevoli della loro fragilità, della vulnerabilità che li caratterizza, ne hanno avuto paura e, di conseguenza, si sono nascosti. Da quel momento, come scrive un autore spirituale, “nella nostra carne, nel nostro sangue, nelle nostre ossa e nella nostra psiche” il timore è stato “tatuato a fuoco”. Anche la Vergine Maria non è esente da questo sentire che abita il cuore dell’uomo; l’evangelista Luca evidenzia come ella fu “molto turbata” alle parole dell’angelo, tanto che questi si sentì in dovere di rassicurarla: “Non temere”. La reazione della giovane, tuttavia, è completamente diversa rispetto a quella del nostro progenitore: questi si nasconde, si difende, evita di assumere la responsabilità del suo gesto attribuendo la colpa alla moglie; la madre di Gesù, al contrario, si interroga e lo fa per ben due volte: la prima tra sé e sé e la seconda ponendo una domanda all’angelo. In tal modo ella si rivela la prima creatura di un mondo nuovo, un mondo che non si lascia afferrare dalle passioni, non pensa solo a difendersi, preoccupato per la propria persona, ma cerca di cogliere il disegno di Dio che si manifesta nella trama della storia personale e del mondo. Maria è la prescelta perché è totalmente libera e dimentica di sé, tanto da lasciare non solo nel suo grembo ma soprattutto nel suo cuore tutto lo spazio necessario per Colui che deve venire. È la terra non “informe e deserta” (Gen 1,2), come all’inizio della creazione, ma fertile e accogliente su cui lo Spirito Santo può scendere e che può fecondare perché si realizzi una nuova creazione, quella dove all’accorata e drammatica invocazione dell’uomo: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19), Dio risponde inviando suo Figlio. Subito dopo aver sentito Maria pronunciare le sue parole di adesione al disegno di Dio, l’angelo se ne va. Ella rimane sola, consapevole non solo di portare in sé un meraviglioso segreto ma anche delle gravi responsabilità e degli impegni che esso comporta, in primo luogo il dover comunicare la notizia a Giuseppe. Una situazione difficile che ogni giovane donna avrebbe vissuto con angoscia; anche lei si sarà preoccupata per il promesso sposo e per i suoi genitori o di quello che avrebbe detto la gente. Il Vangelo, tuttavia, ce la presenta qualche riga dopo mentre canta il suo Magnificat, segno di gioia, di gratitudine, di totale pacificazione interiore e di quella completa assenza di turbamento che nasce dall’affidarsi con piena fiducia al Signore.