IV domenica di Avvento
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
È ricco di movimento e di parole il brano evangelico di questa quarta domenica d’avvento, movimento e parole che esprimono due necessità dell’amore; esso, infatti, non può stare fermo a oziare ma ha bisogno di agire, di andare, di donarsi; nello stesso tempo non può tacere, ma deve dirsi, condividere, comunicare, usare la parola per esprimere le profondità del cuore. Così vediamo Maria dirigersi in fretta, nonostante il suo stato di donna incinta, verso una zona montagnosa per raggiungere la città dove abita Elisabetta. La velocità con cui intraprende il cammino corrisponde alla rapidità dimostrata nel momento in cui ha creduto alle parole dell’angelo che le annunciava la gravidanza della cugina (cf Lc 1,36); diversamente da Zaccaria, la Vergine non ha avuto bisogno di un lungo tempo di silenzio e di interiorità per credere alle “grandi cose” che l’Onnipotente può compiere (cf Lc 1,49); con slancio si è diretta verso la casa di colei che, essendo più anziana, poteva aver bisogno del suo aiuto, incurante dei possibili rischi per lei e per il suo bambino. Maria già sapeva quanto Paolo scriverà in una delle sue lettere, era certa che “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,6) e per tale motivo non aveva sentito la necessità di proteggere sé stessa e il figlio. Allo slancio della vergine corrisponde quello di Giovanni il quale, udendo il suono della sua voce, sussulta nel grembo della madre. Quanto dolce sarà stata la voce di Maria, quanto vuota del proprio Io! Possiamo pensarla come un canale attraverso il quale lo Spirito Santo che la abitava poté raggiungere Elisabetta e riempirla di sé. Reso consapevole della presenza di Colui che avrebbe dovuto annunciare, anche il bambino sussulta di gioia nel grembo materno. Ed è proprio in questo momento che per il Battista inizia la vocazione di precursore, chiamato a manifestare agli altri l’agnello di Dio, il “più forte di lui”, incominciando proprio da sua madre. Al tono caldo, gentile e dolce di Maria risponde Elisabetta con una esclamazione “a gran voce”; questa reazione così esuberante sembra quasi in contrasto con il clima di intimità che si è creato fra le due donne; la possiamo tuttavia comprendere se pensiamo alla gioia straripante che invade il cuore di chi in passato ha rinunciato con tristezza al sogno di avere un figlio. Nell’intenzione di Luca, tuttavia, il grido di Elisabetta rimanda ad altro; esso evoca, infatti, le acclamazioni del popolo di Israele davanti all’arca dell’alleanza, così come la sua domanda: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?” riecheggia le parole di Davide: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?” (2 Sam 6,9). Ancor prima che Maria abbia avuto tempo di annunciarle la sua gravidanza, Elisabetta, con intuizione tipicamente femminile, ha capito tutto; essa ha compreso non solo lo stato della cugina ma anche il mistero che la abita: non più in un’arca ma nel grembo di una donna, proprio di quella donna che stava di fronte a lei, Dio si faceva presente, assumendo la nostra carne e diventando uno di noi. In questa domenica in cui il Natale ci appare più vicino uniamo all’esultanza della voce di Elisabetta quella del nostro cuore, gioioso e stupito di fronte al mistero di un Dio che è fatto pienamente simile a noi, rendendosi presente, eliminando ogni distanza e condividendo tutto della nostra vita.