Battesimo di Gesù
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Con la scena del Battesimo inizia la vita pubblica di Gesù. Il contesto in cui essa ha luogo è caratterizzato da due atteggiamenti particolari: l’attesa e la domanda rispetto all’identità di Giovanni; molti si chiedono, infatti, se non sia lui il Cristo. È stato proprio il Battista a suscitare nella gente questi due stati d’animo così importanti per l’essere umano: noi siamo strutturalmente dei cercatori, spinti ad andare sempre al di là di noi stessi nella comprensione della realtà, nella ricerca della verità e del bene. Anche la nostra società, assuefatta o dal benessere o dalle soddisfazioni procurate dai social, avrebbe bisogno di figure come Giovanni, capaci di far sorgere in noi interrogativi, aspettative, desideri per combattere quei due grandi nemici del genere umano che sono il vuoto e la noia. Perché un leader possa assolvere questa funzione è necessario che egli possegga una virtù: l’umiltà, grazie alla quale può rinunciare a fare di sé stesso un idolo per orientare chi lo segue non verso di sé ma verso un altro. Così fece il Battista quando parlò di Gesù come uno “più forte” di lui e mise in risalto la differenza fra i loro due battesimi. Quello di Giovanni, infatti, è un semplice rito di purificazione, mentre il Messia battezza “in Spirito Santo e fuoco”; egli non ci immerge semplicemente nell’acqua per lavare i nostri peccati, ma ci inserisce nella vita di Dio, grazie allo Spirito che crea il legame tra il cielo e la terra e accende in noi il fuoco dell’amore. Questo Cristo che possiede un tale potere si manifesta tuttavia al popolo con una modalità che il lettore, dopo aver celebrato le feste natalizie, ormai conosce da vicino: l’abbassamento. Egli, che si era presentato al mondo bambino, ora si rende ancora più solidale con noi scendendo come un peccatore nel Giordano e facendosi battezzare da Giovanni. Tale abbassamento rivela – il battesimo di Gesù, insieme all’Epifania e alle nozze di Cana è, infatti, una delle “manifestazioni” che la Chiesa celebra dopo il Natale – chi è Dio e cioè non uno che, impassibile, tesse le trame della storia umana senza alcun coinvolgimento, ma un Dio vicino, il quale condivide ogni cosa con noi, escluso il peccato: fatiche, sofferenze, fragilità e tutto quanto costituisce il peso del vivere. Così ce lo presenta la voce proveniente dal cielo: egli è il Figlio, appartiene alla famiglia di Dio e, di conseguenza, è Dio, ma è anche l’”amato”, colui nel quale il Padre ha posto il suo compiacimento. Se qualcuno un giorno ci domandasse che tipo di relazioni si vivono all’interno della Trinità, potremmo trovare qui una risposta: l’altro non è mai semplicemente “altro”, ma è oggetto d’amore, gioia, apprezzamento estatico. Questo sguardo, però, non è puro godimento circoscritto al mondo trinitario: il Padre, infatti, vuole riservarlo a ciascuno dei suoi figli, purché gli dimostriamo di voler diventare tali lasciandoci battezzare, vale a dire trasformare dall’amore e dal fuoco dello Spirito. La via ce l’ha insegnata Gesù e consiste nell’abbassamento, nel comprendere che la realizzazione della nostra umanità non sta nell’apparire o nel primeggiare, ma nel riconoscere umilmente la nostra debolezza e attendere tutto dal Padre.