Quando la liturgia cita se stessa
Le varie preghiere eucaristiche del vigente Messale Romano, pur essendo sostanzialmente uguali nella struttura letteraria, differiscono in maniera più o meno marcata nei particolari, per identificarsi in fotocopia nella parole del Signore di istituzione dell’eucaristia, note altrimenti come formule di consacrazione. Queste parole, per esplicita volontà di Paolo VI, sono sempre uguali in tutte le preghiere eucaristiche, ma variano le parole di contorno che vi adducono. Sono quelle parole che documentano il comportamento di Gesù in atto di istituire l’eucaristia: i vari “prese il pane”, “rese grazie” / “pronunciò la preghiera di benedizione”, “lo spezzò”, “dopo la cena”, eccetera. Si tratta dunque di quelle espressioni che contestualizzano l’eucaristia.
Fra queste, nelle preghiere in appendice al Messale 1983 alle pagine 899–918, ho trovato la consueta dizione “La vigilia della sua passione, mentre cenava con loro …”. Il latino, in Missale Romanum 2002 alle pagine 613–632, ha una finezza letteraria che merita di essere rilevava: “Qui pridie quam pateretur, / in supremae nocte cenae …”. Chi ha un pizzico di orecchio sente nelle parole evidenziate un verso dell’inno Pange lingua, dei vespri del Corpus Domini. E’ anche l’inno classico dell’esposizione dell’eucaristia e della conclusiva benedizione eucaristica (Tantum ergo). E’ attribuito con alto grado di probabilità a san Tommaso d’Aquino, non così filosofo e teologo da non essere anche un po’ poeta, specie se si cimenta sull’eucaristia. E’ composto di sei strofe di sei versi ciascuna. Il frammento sopra evidenziato è l’inizio della terza strofa.
Si tratta di un inno metricamente sofisticato, in distici trocaici (acatalettico + catalettico) e per giunta con rima alternata. Il dimetro trocaico è fra i più arcaici della poetica latina: lanciato da Plauto, affinatosi progressivamente, è poi caduto in disuso sconfitto dal vincente esametro, finché non lo hanno ripescato i poeti cristiani, specie Venanzio Fortunato († 600) in un famosissimo inno della Passione, iniziante anche lui con Pange lingua, tuttora ricorrente nella Liturgia Horarum.
In questo famosissimo inno eucaristico il Dottore Angelico ha congiunto la poetica classica latina organizzata sulla quantità delle sillabe, con i vezzi della nascente poetica italiana che bada alle assonanze, fra le quali privilegiata è la rima, consistente nell’identità fonetica dalla sillaba accentata a fine parola.
Tornando alle preghiere eucaristiche, il traduttore latino si è ricordato di questo verso di san Tommaso e lo ha opportunamente inserito nelle clausole circostanziali della parole istitutive. Ho dovuto dire “traduttore latino”, perché queste preghiere sono nate in italiano e approvate per la chiesa di Lugano nel 1974. Ovvio che, per poterle inserire nell’editio princeps del Missale Romanum, sono sta tradotte in latino, non senza qualche adattamento: quello ora segnalato è il più geniale. Talora dunque la liturgia cita se stessa, pescando fra i suoi cavalli di razza.
Alberto Albertazzi