Epidermide e velette
Pare che i pitecantropi fossero villosi come scimmioni. Probabilmente la depilazione genetica origina dall’invenzione dei vestiti. Al maschio della nostra specie è rimasta la barba, perché non ha mai indossato il burqa.
Vestirsi è comodo, ripara dal freddo e protegge la persona, ed è comodo svestirsi in spiaggia. A prescindere dalle informazioni della Bibbia, non so quando il vestito è stato messo in connessione col “senso del pudore”. Va detto però che la Bibbia non pensa le improvvisate foglie di fico come un rudimentale topless unisex. E’ più probabile che si tratti di una risorsa letteraria per segnalare che, a malefatta avvenuta, i nostri ingenui progenitori si erano scoperti privi di dignità, un po’ come nobiltà decaduta.
L’abbigliamento poi ha preso il vezzo di adeguarsi a persone e circostanze: l’uomo vestiva in un modo e la donna in un altro. Gli elegantoni stanno alle corte dei re – come dice Gesù (Lc 7,25) – e i cenciosi “barboneggiano” per le strade. E’ ovvio altresì che al Quirinale non ci si veste come a una gara di pesca. L’antropologia semitica, ha preso a classificare l’articolata anatomia umana in zone onorevoli e meno onorevoli (1 Cor 12,22–24), e san Paolo dice che quest’ultime devono essere trattate con maggior riguardo. La cucitura fra paludamento e senso del pudore è in tal modo compiuta e non si può offrire le intere cotenne all’osservazione altrui. Sono scattati inoltre meccanismi mentali, regolati da opportunità e decenza, che impongono maggiore castigatezza nel vestire quanto più è serioso l’ambiente in cui ci si infila. Forse è stato un riflusso dell’imbarazzo di Adamo ed Eva quando, non più digiuni, furono piluccati da Dio. Si è giunti in seguito a eccessi grotteschi che, con una specie di trigonometria anatomica, misuravano in centimetri quadrati la superficie epidermica da potersi ostentare in chiesa. Non sono tempi remotissimi. Oggi, per il pendolarismo delle usanze, si è passati all’eccesso opposto, specie d’estate. Le donne in genere sono più generose di epidermide e talora si presentano all’ambone inducendo a privilegiare la “contemplazione” sull’ascolto. Parimenti sfilando alla comunione (che non è propriamente la passerella di miss-Italia) può capitare che si vedano gonnelle svolazzanti a elevata anatomia, e/o scollatura nelle quali l’occhio fa fatica a non scendere. Una volta in una voragine pettorale mi era caduta la particola! Dovetti dire alla titolare: «Signora, a questo punto conviene che proceda a self-service!». Insomma, è questione di buon senso e buon gusto. Sta altresì prendendo piede la tendenza ad abbigliare le ragazzine di cresima, ormai precocemente sviluppate e vistose, più per generosa appariscenza nella foto di gruppo che per decoro verso il dono dello Spirito Santo.
Il problema di abbigliamento chiesastico si poneva già ai tempi di Dante, se il suo amico Forese Donati gli dice: «Tempo futuro m’è già nel cospetto, / cui non sarà quest’ora molto antica, / nel qual sarà in pergamo interdetto / a le sfacciate donne fiorentine / l’andar mostrando con le poppe il petto» (Purg. XXIII 98–101). Insomma: fra Lucia Mondella e la Goulue di Touluse-Lautrec bisogna calibrare un’intelligente e opportuna via di mezzo.
Ma anche certi uomini dovrebbero darsi una controllatina. Una volta mi vidi a messa un irsuto ominide in canottiera bianca (che fa molto più intimo delle colorate). Durante l’omelia gli feci notare che si era dimenticato di mettere la camicia e se ne uscì bofonchiando.
Insomma, in chiesa per la Messa è di buon gusto una sobria eleganza, tanto maschile quanto femminile, in un certo senso richiesta pure da una parabola evangelica (Mt 22,11–12). Più indulgente sarei per visite occasionali fatte in chiesa al di fuori dei momenti liturgici.