Gesù guarisce e salva – XXVIII domenica tempo ordinario
«Alzati e cammina» (Lc 17, 11)
Questo racconto è narrato solo dall’ evangelista Luca e collocato durante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Egli si avvicina a un villaggio: lo attende un gruppo di lebbrosi; sono tutti giudei tranne uno che è samaritano. Se fossero stati sani, non si sarebbero accompagnati a un samaritano, considerato un eretico, un non ebreo. Insieme gridano: «Gesù Maestro, abbi pietà di noi!» (Lc 17, 13).
l Signore li manda dai sacerdoti, li mette alla prova, ma solo uno torna da lui: proprio il samaritano, guarito dalla lebbra e riconoscente, al quale Gesù dice: «Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato» (Lc 17, 19).
Soltanto quest’uomo, solo tra i dieci, torna a ringraziare del dono ricevuto; è avvenuto in lui un passaggio fondamentale: quello da guarito a salvato.
La prima gratitudine deve essere, quindi, per Dio.
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). L’uomo che vuol essere grato a Dio diventa riconoscente anche verso gli altri uomini; questo porta a rendere le relazioni umane più vere alla luce del sentirsi e vivere da cristiani nel proprio tempo, che si mostra sempre più egoista e individualista.
Papa Francesco, nell’enciclica “La luce della fede”, così si esprime parlando della sofferenza: «Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore. Contemplando l’unione di Cristo con il Padre, anche nel momento della sofferenza più grande sulla croce (Mc 15, 34), il cristiano impara a partecipare allo sguardo stesso di Gesù» (lettera enciclica Lumen Fidei, 2013, n. 56).
Non fermiamoci a distanza dal Signore, come i lebbrosi, soprattutto quando ci sentiamo poveri e sofferenti. Cofidando in lui, recitiamo allora questa preghiera: «O Gesù, mite Agnello immolato, / tu hai conosciuto il calice amaro /dell’angoscia e del dolore/ per la salvezza del mondo; / donaci il tuo Spirito / perché sappiamo guardare / con i tuoi occhi / le nostre ruvide croci. / O Signore, la paura ci opprime, / la solitudine pesa sulle ore / delle nostre giornate; / il dolore mette a dura prova / la nostra pazienza. / Ma tu, o Signore, sei con noi / sul nostro calvario. / Liberaci dalla tentazione / di ritenerci inutili, / di essere di peso agli altri. / Conforta la nostra fragile speranza, / il nostro debole amore, / per continuare la tua passione / nel corpo della chiesa / e nel cuore del mondo. / Accresci la nostra fede, / perché non manchi / alla nostra chiesa / il dono della tua croce / che salva. / Maria, Madre del Redentore, / aiutaci a dire con te “amen”» (padre Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli).