Il già e il non ancora – XXXIII domenica tempo ordinario
«Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno quando esse staranno per accadere?» (Lc 21, 7). L’immagine di Dio nella storia personale o del cosmo non va racchiusa in date, va piuttosto pensata come un venire continuo, per abbracciare quanto di bello e buono Egli ha creato dall’inizio e accoglie nel Suo grembo. La Sua venuta orienta le vicende della vita di ogni uomo. Questo è possibile perché il momento presente è già escatologico, racchiude già in sé la possibile salvezza.
Dio giudicherà la storia, ma la nostra preoccupazione non deve essere quella dei personaggi del brano di Vangelo di Luca, che pensavano al “quando” e al “come” ciò sarebbe avvenuto: Gesù mette in guardia contro tale pericolo, dal fascino dei falsi messia e dei falsi profeti.
Per l’evangelista Luca il discorso non riguarda tanto il tempo della fine, ma il tempo della Chiesa. Come Gesù, prima della Pasqua di risurrezione, è passato attraverso la passione (Lc 17, 22–25), così il cristiano, prima della venuta del Regno, deve continuare la passione di Cristo nella sua vita.
È solo «attraverso molte tribolazioni che si entra nel Regno di Dio» (At 14, 22). Benedetto XVI, nella sua enciclica Spe salvi, così scrive: «L’eternità non è un continuo susseguirsi dei giorni di un calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. È il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo, non esiste più».
Per questo possiamo proclamare anche noi: «Lodate il Signore, cantate la sua lode, popoli tutti» (Sal 117).