Spirito Santo, il Dio invisibile – VI domenica di Pasqua

 
 

La Parola di Dio di questa domenica ci inserisce in un clima di raccoglimento, quasi di mistero.  Gesù vuole rincuorare i discepoli per la sua prossima partenza.  Fino a quel momento infatti Egli era stato in mezzo a loro ma ormai deve tornare al Padre. Il camminare dei discepoli nella storia di questo mondo, dopo la partenza di Gesù, una storia che potrebbe presentare apparenze disarmanti, sarà comunque accompagnato da una presenza, una nuova presenza: quella dell’Amore, perché «non vi lascerò orfani!».

L’evangelista Giovanni, una personalità spiccatissima che ha dato la sua impronta personale e contemplativa a ciò che aveva sentito e visto di Gesù, con parole di immediata evidenza ci riferisce che l’osservanza dei comandamenti è l’espressione concreta dell’amore, dove si vede che l’amore non è pensato in modo romantico, ma in una modalità piena di concretezza.

Non si potevano usare parole più semplici, quasi elementari; non ci sono leggi particolari da osservare, non obblighi, non ascesi, ma l’amore di una Persona. Ed esiste il pericolo di passarci sopra… eppure su queste parole  è innestata la vita.
Questo amore  è il centro del testo e anche il centro del cristianesimo:  è l’amore per Cristo, il Signore,  che amiamo perché ci ha amato per primo e ha dato se stesso per noi; quell’amore infinito che Egli ha ricevuto dal Padre e che riversa su tutti gli uomini; quell’amore che ci fa esistere come figli e che, possiamo dirlo arditamente,  ci fa “come Dio”. Quando si ama una persona, infatti, la si porta dentro e diventa la norma della nostra vita, perché da quella relazione nasce una comunione nell’essere più profondo. Gesù ha dato un solo comando, quello dell’amore; perché l’amore si esplicita in ogni singola azione e perché chi ama non è mai solo ma sempre con Colui che ama.

I discepoli, la Chiesa, non sperimenteranno mai l’assenza di Gesù, non saranno privati del loro Maestro.  Egli va via con il corpo ma resterà con lo Spirito. E   sarà Gesù stesso a pregare il Padre perché mandi ai suoi lo Spirito definendolo «un altro Paraclito», termine greco che equivale al termine latino ad vocatus, avvocato difensore, consolatore dolce e forte,  il Dio sconosciuto come lo definiva Von Balthasar,  lo Spirito della verità, «quella potenza interiore che armonizza il cuore dei credenti con il cuore di Cristo e li muove ad amare i fratelli come li ha amati Lui» (cfr. Deus Caritas est, 19).

Il primo Paraclito è il Figlio stesso, venuto per difendere e salvare l’uomo dalle insidie del divisore, il satana. Lo Spirito si schiererà con i discepoli all’interno del tempo e della storia, starà dentro di loro, li aiuterà a capire il senso del contrasto con il mondo, senza venir meno alla propria fede e senza soccombere perché «…lo Spirito che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26).

Questo misterioso “movimento” trinitario che conduce lo Spirito Santo e il Figlio a dimorare nei discepoli, grazie alla mediazione del Figlio stesso, dà vita a un’intima relazione di reciprocità tra Dio Padre e i discepoli: «Io sono nel Padre e voi in me e io in voi», afferma Gesù  (Gv 14, 20). Ma ciò può realizzarsi a una sola condizione, che Gesù stesso proclama fin dall’inizio del brano: «Se mi amate…» (v. 15) e che ripeterà alla fine: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (v. 21).
Senza l’amore per Gesù che si attua nell’osservanza dei suoi comandamenti, noi automaticamente ci escludiamo dal movimento trinitario e perdiamo la capacità di ricevere Dio; di conseguenza non lo potremo mai comunicare e dunque non potremo seminare la gioia e la speranza del Vangelo.