Patriarcalità
La vita si allunga.
Gli apparati sanitari obbligano a campare intubando e inflebando il decrepito, anche quando il cervello è già spento da un pezzo. Il miraggio dei cento anni biografici non è poi più tanto un miraggio. Miraggio è raggiungere nella vita cento anni di qualcosa, poniamo di matrimonio o di ordinazione sacerdotale: addirittura più impensabile che eccezionale.
Però i cento anni restano comunque unità di misura biografica, visto che i cicli esistenziali sono ordinariamente suddivisi in frazione di secolo: 25, 50, 75 anni di qualcosa che, nel caso del matrimonio si chiamano rispettivamente nozze d’argento, d’oro e di diamante (mi pare). Preti e affini hanno più l’abitudine di festeggiarsi che non i coniugi, forse perché sembrano più garantiti nella permanenza degli impegni assunti. In altri termini è molto più frequente, credo anche in proporzione statistica, che si piantino due coniugi che non un prete “getti la veste (che non si porta quasi più) alle ortiche”.
Questa chiacchierata per dire che da qualche tempo i preti hanno preso l’usanza di festeggiare, oltre alle ricorrenze di cui sopra, anche altri significativi traguardi più o meno volanti: i 40, 60 e 70 anni di ordinazione, se ci si arriva. E’ male tutto ciò? Se è male, non è un grosso male: lo è meno ancora se questi anniversari si festeggiano per celebrare non il prete ma Dio che sopporta il prete con tutte i suoi limiti e debolezze.
Fatte tutte queste precisazioni e accettando la prospettiva – oggi si direbbe “autoreferenziale” – dei festeggiamenti per anniversario, al di sopra di una certa età mi pare che meritino menzione anche scadenze intermedie: ad esempio 65 anni di sacerdozio onorevolmente vissuto, mi pare che siano una consistente fetta di vita, specie se buona parte sono trascorsa nella stessa parrocchia. Per lo scrivente, che in vita sua ne ha totalizzate ben undici, una così prolungata fedeltà pastorale ha qualcosa di sovrumano.
E’ meglio il radicamento pastorale o il girotondo pastorale? Chissà. Non mancano i pro e i contro. I pro a favore del radicamento mi pare consistano soprattutto in un più facile esercizio della paternità spirituale. Il girotondo invece non consente di affezionarsi gran che a luoghi e persone, per ragioni che mi paiono evidenti. Ma forse proprio per questo è più facile far contare Dio, che è sempre lo stesso in un posto e in un altro.
Ma torniamo ai 60\65 anni di ordinazione. Se bene osservo abbiamo fra il nostro clero diocesano ben due sacerdoti insediati nella parrocchia ove tuttora si trovano, nientemeno che dall’arcivescovo Imberti, defunto nel 1967! Si tratta del parroco di Roasio, don Giovanni Carenzo, e del parroco di Arborio, il novantenne (se violo la privacy me ne frego) don Eusebio Costanzo, per il quale è scattato quest’anno il 65° di ordinazione: quel traguardo volante di cui prima dicevo.
Entrambi sono vivi, arzilli, deambulanti e pensanti. Li accomuno ora in quanto campioni di persistenza pastorale, essendo passati dal giorno del loro attuale insediamento ben quattro arcivescovi: il precitato Imberti, Mensa, Bertone, Masseroni, e stanno vedendo gli albori pastorali di Arnolfo. E c’è stata pure la giravolta del secolo e del millennio!
Mi pare che si possa parlare non solo di paternità, ma anche di “patriarcalità pastorale”, specie nel caso di don Eusebio Costanzo che si impone per i suoi raggiunti 90 anni, raccogliendo meritato affetto fra i suoi fedeli. La sua “lunga etate” – come dice Dante di Anchise (Par XIX 132) – è talmente lungi dall’essere tremula e affaticata, che si è avventurato al rifacimento della facciata della sua chiesa parrocchiale, decorata ora di imponenti e promettenti ponteggi.
Se non avessi timore di porre limiti alla Provvidenza, come diceva il novantenne papa Leone XIII, ti direi, caro don Eusebio “cento di questi giorni”!
d. Alberto Albertazzi vdc