Piccoli e poveri, essenza di Dio – XIV domenica tempo ordinario

 
 

Domenica: è il giorno del Signore. Il giorno in cui avvenne la Risurrezione dai morti di Cristo, evento che cambiò il corso della storia umana offrendo vita e speranza nuova a tutti gli uomini che vogliono credere a Lui. È questo il motivo per cui i cristiani di tutto il mondo in questo giorno si riuniscono insieme per dare lode e, con l’eucaristia, ringraziare Dio per le grandi meraviglie operate per tutti noi. E ce ne dà l’esempio proprio Cristo che apre la sezione di Matteo (11,25-30) di questa domenica: «Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra…». Una sinfonia di lode, un inno di giubilo, armonioso come un incanto.
Allora ci viene spontaneo porre accanto, anche se a un livello inferiore, le “Lodi di Dio altissimo” di san Francesco che recitano: «Tu sei santo Signore solo Dio, Tu sei grande, Tu sei altissimo, Tu sei re onnipotente…Tu sei il bene, il sommo bene… Tu sei bellezza,… Tu sei quiete, gaudio e letizia…Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore!»
Una pagina suggestiva, intensa. Gesù si rivolge al Padre e lo benedice. Nella tradizione ebraica chi “benedice” deve possedere un’autorità speciale. La benedizione giudaica (barakah) si rivolge sempre a Dio e vuole esprimere riconoscenza ma anche meraviglia, stupore, per la sua grande, misericordiosa bontà. Gesù loda e benedice davanti ai “suoi” i piccoli, quelli di cui è pieno il Vangelo, quelli che non hanno voce, che non meritano attenzione perché non contano nulla. Quelli che i grandi, i dotti, i potenti ignorano perché sono squalificati.
Invece il privilegio dei piccoli e dei poveri fa parte dell’essenza misteriosa di Dio che è misericordia, quella misericordia capace di abbattere i limiti della nostra invalicabile umanità. Egli infatti predilige ciò che è religiosamente squalificato e umanamente insignificante. Il silenzio di Nazareth è il mistero più eloquente di Dio! E a “loro” Gesù rivolge una promessa: il Regno dei cieli è il vostro.
Molti sapienti e dotti che partivano dalla loro scienza – oggi ancor di più dalle loro leggi – non furono capaci di capire la predicazione di Gesù; solo i piccoli capivano e, soprattutto, accettavano la Buona Novella. E Dio, costoro, li tiene nel tepore del palmo della sua mano, perché «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (cfr. 1 Cor 26, 29).
La promessa ha questa esplicazione: il Regno di Dio è gioia e pace nello Spirito (Rm 14, 17). Non un giogo da portare con fatica, una durezza altra della vita; non uno di quei pesi che attendi solo di scrollarti di dosso. No! Qualcosa di leggero come una brezza, una soavità, una vera luminosa pace che reca conforto, ristoro, che parla di consolazione, che canta la gioia.
Basta imparare dal cuore di Gesù: «…imparate da me». La meta è alta.
Come imparare da Dio?
È legittimo porsi degli interrogativi. San Leone Magno affermava che l’umana ignoranza è molto lenta a credere ciò che non vede e a sperare ciò che non conosce. Ma la fede, la cui luce non conosce tramonto, ci apre a tutto ciò che è buono e bello e ci permette di discernere tra il vero e il falso, tra la verità e l’inganno. E l’amicizia con Lui si impara con il cuore che mette in luce, con una evidenza sempre in crescendo, la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Colui che è mite e umile di cuore: «Venite a me».
Il linguaggio dell’amore ci comunica che i singoli eventi della giornata sono cenni rivoltici da Gesù, segni di attenzione per ciascuno di noi, attimi di tenerezza che vogliono raccogliere le nostre stanchezze e le nostre sofferenze per farle proprie in cambio del dono della serenità.
«L’istante presente è una miniatura dell’eterno» (Jeanne Hersch, filosofa svizzera) anche se si sfrangia…