XXVIII domenica tempo ordinario Mt 22, 1-14
Non perdiamo la festa di nozze
a cura delle Clarisse del Monastero Santa Chiara di Roasio Santa Maria
Questa domenica è festa: non solo perché – in quanto primo giorno della settimana – è il giorno del Signore, ma perché insieme con il profeta Isaia, che ci descrive un banchetto universale aperto a tutti i popoli, e con il Salmo 23, che recita di una mensa sotto la tenda di Dio dove Egli stesso ci profuma il capo e ci riempie il bicchiere fino a farlo traboccare; la pericope di Matteo racconta che «un re» il Signore stesso, ha preparato un sontuoso banchetto: un banchetto di nozze. Le nozze sono la più bella immagine del nostro rapporto con Dio: nell’amore uno diventa l’altro. E già ci immaginiamo le portate favolose: «vivande grasse, cibi succulenti…», ma il nostro traboccante entusiasmo è quasi subito azzerato da una realtà inaudita: gli invitati al banchetto di nozze, proprio quelli più intimi, più vicini, più affini, quelli scelti insomma, proprio questi non accettano l’invito.
Le nozze e il banchetto rimandano, nella descrizione, al Regno di Dio, quel Regno annunziato fin dall’Antico Testamento e che ogni israelita attendeva con forte desiderio. Il Regno atteso ha inizio con Gesù, non con guerre e conseguenti vittorie, bensì con la mitezza e la benevolenza propria di Cristo, con il suo invito ad accogliere Dio come Padre, a riconoscerci come fratelli, perché figli di quell’unico Padre che sta nei cieli e che ci invita a far festa insieme.
Ma ecco la prima sorpresa. I pii Israeliti – quelli scelti come primizia per la salvezza – si attendevano di diventare potenti, di sottomettere i popoli, di dominarli. Se il Regno di Dio è invece questo invito ben diverso, allora tanto meglio occuparsi dei propri affari: rendono di più, sono prioritari, il banchetto può essere rimandato.
Proprio come facciamo noi. Ci sono sempre cose più urgenti della preghiera, della partecipazione all’Eucaristia, dei doveri religiosi, che si possono assolvere in un secondo tempo, rimandandoli all’infinito, senza accorgersi che sciupiamo nel quotidiano ciò che è grande e misterioso per scegliere ciò che è urgente, al posto di ciò che è importante e doveroso.
E perché? Troppi impegni personali. Troppi conti, troppi affari vantaggiosi, troppi progetti individuali, ognuno con la propria stessa figura fulgida ed ineccepibile da presentare al mondo. Niente, non si può.
E anche se la servitù, rimandata indietro a ripetere l’invito, fa presente che gli animali ingrassati sono già stati uccisi, che il Signore ha preparato una mensa dove i calici traboccano – dopo l’esperienza di Cana il vino si versa buono fin dall’inizio e a fiumi… – essi «non si curarono dell’invito». Nulla vale a smuovere chi non vuole prenderne parte. Ognuno va al proprio lavoro redditizio, al proprio campo, ai propri affari e si chiude ogni attesa.
Ma il Signore non si arrende. Le nozze sono preparate, il rifiuto di una parte di Israele diventa occasione di salvezza per tutti gli altri, tutti i popoli alla mensa del Regno, chiamati fin dagli estremi confini della terra perché ogni uomo possa essere immerso nell’Amore del Padre e del Figlio. E la sala si riempie.
Allora il re entra nella sala del banchetto e il Regno è definitivo.
Ma ecco un’insospettata sorpresa: uno degli invitati non indossa la «veste nuziale»; è il falso profeta, colui che dice «Signore, Signore» ma non compie la volontà del Padre, colui che, come afferma Ravasi ha messo «una toppa di panno nuovo su un vestito vecchio» (Mc 2,21). La venuta del Regno di Dio, della sua bontà illimitata, deve realizzare anzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini. E la fede in Gesù – ricorda Benedetto XVI – è l’unico mezzo grazie al quale, sempre e di nuovo, afferriamo la mano di Gesù e mediante il quale Egli prende la nostra mano e ci guida.