16ª domenica tempo ordinario Mc 6,30-34
– a cura di Mons. Sergio Salvini –
Tempo di vacanze, tempo di relax: venite in disparte.
Il detto di Gesù, racchiude tutta la sollecitudine con cui il Rabbì usava trattare i suoi. Inoltre indica loro il modo: in un luogo solitario. In greco “solitario” è erēmos. Ecco, l’interpretazione, secondo il nostro linguaggio: venite in disparte in un luogo silenzioso e di meditazione.
C’è sempre una sapienza umana e divina nell’offrire il riposo; è bello stare insieme e gustare la bontà di quello che si vive. Di riposo abbiamo bisogno tutti, oggi più che mai. Ma la festa, le ferie, il riposo non sono accorgimenti per tornare a lavorare poi con più lena. Ne abbiamo bisogno per imparare ad apprezzare la bontà della vita, per gustare la bontà di quello che la vita ci offre.
C’è anche un comandamento di Dio, il terzo: «Ricordati del giorno del sabato per santificarlo» (Es 20,8). Il senso del comandamento è proprio questo: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Lo ha dichiarato espressamente Gesù nel Vangelo.
Il tema del Vangelo, “riposatevi un poco”, offre chiaramente un’indicazione alla vita: apprezzare la bontà di quello che viviamo così da rendere lode a Dio e ringraziarlo. Il testo mette in risalto la mancanza di “riposo”, di nutrimento e di un luogo deserto, lontano dalla folla in cui gli apostoli possano isolarsi per respirare.
È necessario il deserto, il silenzio delle cose e degli uomini, il luogo spirituale dove si ha solo l’essenziale e dove, privati di tutto quello che normalmente si ritiene importante, ci si ritrova a tu per tu con Dio. Mentre tacciono le parole degli uomini e delle cose, finalmente si può riascoltare la voce di Dio. Non si tratta di una fuga dal mondo e dalle responsabilità. Insegna Madre Teresa di Calcutta: «Per essere in grado di realizzare pienamente la nostra missione, noi suore della Carità, parleremo molto a Dio e con Dio, e meno con gli uomini e agli uomini».
Scriveva il cardinale Carlo Maria Martini: «L’uomo “vecchio”, che ha paura del silenzio, e l’uomo “nuovo” solitamente convivono, con proporzioni diverse, in ciascuno di noi. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde».
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Anche alla fine della vita ci sarà il “riposo” eterno presso Dio. È quello che chiediamo per i nostri defunti: «L’eterno riposo dona loro…»; non un “sonno eterno” ma il “riposo” di quella festa che non avrà fine. Allora gusteremo in pienezza la bontà della vita da figli e da fratelli, nella risurrezione.