IV domenica di Avvento Mt 1,18-24

 
 

–  La lunga genealogia di Gesù –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Matteo, dopo aver sciorinato una sfilza di generazioni, arriva all’ultima che richiede qualche spiegazione, per la mossa aggirante con cui è formulata. Il testo liturgico non la riporta, ma è necessario tirarla in ballo: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16).
Dopo una cascata di generazioni in cui il protagonista è sempre il “generatore”, si arriva inopinatamente a una “generatrice”: evidentemente perché Giuseppe non vi ha concorso. E Matteo spiega la dinamica dei fatti con questa introduzione: «Così fu generato Gesù Cristo». Giuseppe si vede davanti Maria con evidenti segni di maternità, ancor prima che si attivasse la convivenza. Oggi non avrebbe fatto né caldo né freddo. Che fare? Applicare su di lei la legge in tutto il suo brutale rigore? Significava condannarla alla lapidazione (Dt 22,23-24): gran brutta fine! Ne avrebbe poi saputo qualcosa la famosa adultera salvata per un pelo dall’astutissima provocazione di Gesù: «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7).
Giuseppe si rivela gentiluomo e decide di sganciarsi da Maria, ritirandosi alla chetichella. Ma il suo è un nome onirico. Già un precedente Giuseppe, figlio di Giacobbe, a colpi di sogni mirati divenne viceré d’Egitto. E i sogni diventano provvidenziali anche al nostro. Gli appare, infatti, un angelo del Signore e gli spiega cosa sta capitando in Maria: è «incinta per opera dello Spirito Santo». Ma nessuno è tagliato fuori: «Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù». È ovvio che se qualcuno doveva nascere, non poteva nascere che da lei, soprattutto in un’epoca quando si capiva ancora a colpo d’occhio chi fosse il maschio e chi la femmina. Se la vicenda fosse capitata oggi, l’angelo avrebbe dovuto essere più circostanziato. A Giuseppe sarebbe però toccato il compito, allora significativo e impegnativo, di dare il nome all’Infante, facendo scattare su di lui la paternità legale. Ed egli, nelle vicende successive, si rivela ottimo tutore, seppure dietro puntuale suggerimento dell’angelo. Gesù è nome programmatico (significa Salvatore), perché di fatto salverà il suo popolo, e non solo il suo, dai suoi peccati.
Quell’intenzione di Giuseppe di accantonarsi, si può interpretare come suo sospetto di fatti soprannaturali di fronte ai quali si riteneva troppo inferiore?
Il “giuseppinismo” ama supporlo, ed effettivamente egli farebbe una gran bella figura. Avrebbe infatti rimuginato che gli eventi in cui Maria era coinvolta, superavano alla grande la sua dimensione umana. Quindi, per discrezione, meglio mettersi da parte e lasciare che gli eventi provvidenziali facciano il loro corso.
Ma Giuseppe viene riabilitato come “nomenclatore” del divino Infante, appioppandogli quel nome, Gesù, che gli si attagliava perfettamente. Forse non è eccessivo pensare tutto ciò. Matteo, secondo le sue usanze soprattutto nel vangelo dell’infanzia, chiude il quadro citando una profezia avveratasi in questa circostanza: «Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa “Dio con noi”» (Is 7,14).
Allora Gesù o Emmanuele, oppure tutti e due? Gesù è certamente il nome anagrafico e anche “professionale” perché, di fatto, Egli è il salvatore. Emmanule, peraltro mai ricorrente nei vangeli se non solo qui, è il nome “essenziale”, perché definisce l’essenza di Gesù, in quanto Dio con noi, secondo il teorema giovanneo: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
In conclusione i due augusti coniugi si sono ricompattati «e vissero sempre felici e contenti» (più o meno …).