terza domenica di quaresima Gv 4,5-42
– In cammino con le scarpe della fede –
a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –
A partire dalla terza domenica di Quaresima quest’anno si abbandona provvisoriamente il vangelo di Matteo per una corpulenta deviazione su Giovanni, leggendone tre mega-pagine in successione, sino alla quinta domenica. Devo dire qualcosa di com’è organizzata la Quaresima sui tre anni del ciclo che scandiscono il vigente Lezionario.
Premesso che nelle prime due domeniche dei tre anni leggiamo tentazioni e trasfigurazione nell’avvicendamento Matteo, Marco, Luca, a partire dalla terza domenica di ogni anno il Lezionario si mette tematicamente in proprio, pur dibattendo argomenti tradizionalmente quaresimali. Quest’anno si percorre la pista battesimale; l’anno B, su falcate giovannee, anticipa in allusiva filigrana la vicenda di morte e resurrezione di Gesù; l’anno C, a successive tappe lucane, esplora la dialettica peccato/conversione.
Quindi ora dobbiamo metterci in ottica battesimale. Questa domenica il tema è l’acqua, di cui Gesù ragiona con una simpatica e un po’ petulante signora samaritana. La prossima domenica sarà la volta del cieco nato (Gv 9), a significare che il battesimo produce illuminazione di fede. La quinta domenica avremo la risurrezione di Lazzaro (Gv 11), essendo il battesimo, a suo modo, fattore di resurrezione, come spiega Paolo in Rom 6,1-7.
Questa domenica, mentre i discepoli vanno a fare le spese, Gesù si intrattiene con una signora che sta attingendo acqua al pozzo di Giacobbe. È lui che attacca bottone, dicendole «dammi da bere». E parte fra i due un lungo e arguto dibattito sul tema acqua, non senza equivoci proprio su questo naturalissimo e vitale elemento. La signora ragiona in termini di H2O, senza nulla sapere di chimica, mentre Gesù evapora l’acqua verso la vita eterna, con velata allusione al battesimo, aggiungendo che l’acqua da lui offerta estingue definitivamente la sete. La donna risponde con una battuta ironica, al che Gesù si permette di interferire garbatamente nella non preclara fedeltà coniugale dell’interlocutrice. Costei, non turbata, vedendo che Gesù la sa lunga, pone una questione dibattuta fra giudei e samaritani: qual è il luogo ufficiale del culto? Gesù scavalca la questione demolendo le strutture cultuali in favore dell’interiorità: né su quel monte né a Gerusalemme si deve adorare Dio, ma lo si deve adorare «in spirito e verità», perché Dio vuole siffatti adoratori. Questa mazzata dottrinale è per il tempio più micidiale delle truppe romane che lo distrussero nel 70 d.C. Il solenne pronunciamento di Gesù delegittima il tempio come luogo di culto.
Quando i due hanno finito di parlottare, perché la donna frastornata corre in città per fare pubblicità a Gesù, tornano i discepoli con le borse piene e lo invitano a mangiare. Ma la mente di Gesù è ancora satura di spirito e verità e risponde: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E quelli pensano che qualcuno glielo abbia portato. Al che Gesù completa: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato». È frequente nel vangelo di Giovanni il dislivello di loquela fra Gesù e gli interlocutori, che per stargli dietro arrancano. Un altro marchiano equivoco si è verificato nel dialogo notturno fra Gesù e Nicodemo (Gv 3,1-5) a proposito della «rinascita dall’alto».
Gesù si inerpica in alto, lasciando a chi ascolta la facoltà di seguirlo con le scarpe della fede, perché il comprendonio umano si infrange contro le sue divine asserzioni. Ma molti samaritani, rimasti cornice di questo singolare episodio, fanno la loro corale professione di fede: «Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».