XV domenica tempo ordinario Mt 13, 1-23
– Beati coloro che ascoltano la Parola –
a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –
Il vangelo di questa domenica è di generosa estensione, con cortese possibilità di abbreviarlo. Prevede una parabola e la sua spiegazione, che si può omettere nella lettura liturgica: opzione che suppongo molto praticata dai sacerdoti che arrivano anche a cinque messe tra prefestive e festive. Ma almeno in una dovrebbe essere letto nell’ estensione integrale.
Siamo all’esordio del così detto libretto delle parabole, che si prolungherà ancora per un paio di domeniche. È una sezione letteraria del vangelo, riscontrabile anche in Marco (4,1-35), in cui troviamo il massimo concentrato di parabole: cinque in Marco e sette in Matteo. Gesù, dunque, cambia didattica. Non più il discorso diretto e palese, ma il chiaroscuro della parabola, il cui significato si coglie come in filigrana. Prima si era accontentato di qualche abbozzo di parabole (cfr Mt 9,14-17). Questa domenica invece parte alla grande con parabole a cascata, divenendone insuperato maestro nella letteratura mondiale.
La parabola è un genere letterario già praticato nell’Antico Testamento (cfr Gdc 9,7-15; 2 Sam 12,1-6). Il termine stesso, parabola, ne spiega il significato e la funzione: etimologicamente in greco parabola significa accostamento, ossia l’accostamento tra una situazione immaginaria e una reale. E dal confronto scaturisce un insegnamento. Gesù sembra avere provato un gusto raffinato nel raccontarle, tanto che alle folle non parlava se non in parabole (Mt 13,24), lasciando loro la curiosità dell’enigma, sovente provocata con il suo sfidante ritornello: «Chi ha orecchi, intenda» (cfr Mt 11,15; 13,9, 13,43, per rimanere solo in Matteo). Ma ai suoi discepoli in privato spiegava ogni cosa (cfr Mc 4,34).
La parabola di questa domenica è un classico nel genere suo: è quella del seminatore che, con linguaggio georgico, illustra le varie tipologie di reazione che può provocare la parola di Dio nei cuori in cui è seminata. Curioso l’incipit di questa parabola, narrata senza alcun preambolo del tipo: «Il regno dei cieli è simile a…», ricorrente in parabole successive (cfr Mt 13,24. 31.44.45.47). Gesù sembra che abbia osservato un seminatore al lavoro e ne dia notizia ai circostanti: «Ecco il seminatore uscì a seminare». Indica le varie fattispecie di terreno in cui il seme va a finire, e conclude seccamente: «Chi ha orecchi ascolti». Al che i discepoli intervengono: «Perché a loro parli con parabole?». E Gesù dà una risposta sostenuta, che può sembrare nella logica dei “due pesi e due misure”: «A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato». Ed Egli giustifica questa discriminazione, facendo funzionare un oracolo di Isaia (6,9-10). È un dosaggio pedagogico messo in atto da Gesù. Coloro che poi dovranno annunciare il vangelo a tutti i popoli (cfr Mt 28,19) devono partire con le idee ben chiare in testa.
Superato questo inquietante intoppo nel quale Gesù sembra privilegiare qualcuno a preferenza di altri, arriva la spiegazione della parabola: i vari tipi di terreno, su cui cade il seme, corrispondono a differenti consistenze cardiache. Tutti i cuori sono anatomicamente e fisiologicamente uguali, ma se li prendiamo come simbolo dell’interiorità umana nei confronti della parola di Dio che li raggiunge, le differenze sono alquanto marcate. E così c’è il cuore incapace di trattenere la parola di Dio; c’è il cuore che la raccoglie con entusiasmo superficiale; c’è il cuore sopraffatto da altre preoccupazioni e dunque incapace di concentrarsi sulla parola di Dio. E finalmente c’è anche il cuore che «ascolta la parola e la comprende», producendo «il cento, il sessanta, il trenta per uno». La produzione non è uguale, dipende da vari fattori antropologici, perché gli uomini non sono fatti in fotocopia. Ma comprendere non basta.
La parola di Dio è troppo energica per non trasfondersi in azione e comportamento. E allora il teorema, incapsulato in una splendida beatitudine, «beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono», ossia la mettono in pratica. E concludiamo col celebre brocardo spirituale che impone di “vivere la Parola”.