Movesi il vecchierel canuto et bianco
a cura di Mons. Alberto Albertazzi
alberipazzi@gmail.com
«MOVESI IL VECCHIEREL CANUTO ET BIANCO» (1)
Allo scoccare del mio cinquantesimo di ordinazione sacerdotale mi è tornato in mente questo liceale ricordo del Petrarca e mi sono accorto di come facesse al caso mio. Quando ero sui banchi di scuola la canizie mi sembrava lontanissima, ma velocemente è arrivata. Prima di lei però è arrivata la calvizie. Né l’una né l’altra sono segnali di prorompente giovinezza. Va detto che se le calvizie arriva prima della canizie, la canizie non arriva perché il primo requisito per essere canuti e di non essere calvi. Tutti i maschi del mio parentado, me compreso, sono pelati e canuti nei pochi capelli rimasti. Fanno eccezion, per adesso, i figli dei figli dei miei fratelli. Quel “bianco” aggiunto a “canuto” ha l’aria di sinonimo, salvo che non voglia indicare il pallore pre-cadaverico del volto.
La Bibbia parla poco di capelli e non capelli, ma conosce la canizie e la calvizie. Un grande canuto fu Samuele, il quale in un discorso auto-laudativo dichiara: «Sono diventato vecchio e canuto» (1 Sam 12,2), ma non citrullo – aggiungo io. E di calvizie si parla nel ciclo dell’imprevedibile e un po’ balzano profeta Eliseo, il quale fu sbertucciato per la sua testa pelata da una masnada di bambini: li maledisse non senza immediate conseguenze. Infatti «uscirono dalla foresta due orse, che sbranarono quarantadue di qui bambini»(2 Re 2,23-24). Orrendo! Non solo pelato ma anche ferocemente suscettibile (2).
Visitiamo ora la nomenclatura geriatrica. Vecchierello. E’ una parola tra il diminutivo e il lezioso, che orienta verso le successive note patetiche di quel sonetto:
… indi trahendo poi l’antiquo fianco
per l’extreme giornate di sua vita,
quanto più pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal camino stanco (3).
Insomma: un vecchierello da girello o quasi! Oggi si preferisce dire vecchietto, con nota di amabile commiserazione. C’è poi vecchiotto che dice la stessa cosa con una sfumatura di simpatia. Vecchiaccio è un malvissuto esemplare della nostra specie, ma può anche connotare un’indistruttibile quercia umana. Ben diverso da vegliardo, connotante un “antico di giorni” (cfr Dn 7,9.13), solenne, se non persino maestoso, sovrano e sovrumano; ammirato e contemplato dall’intimidito profeta Daniele (4). In antico si sentono pregio e nobiltà. Ce n’è quanto basta per identificarlo con Dio. Tutta questa senile gradazione, tranne forse l’Antico di giorni, si può declinare anche al femminile.
Ho lasciato in coda il termine base: vecchio, imponente e autorevole, soprattutto se lo sentiamo con timpani danteschi:
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio bianco per antico pelo, gridando “Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo” (5).
E’ Caronte, il barcaiolo che traghetta all’inferno le anime manigolde. Bianco anche lui come quello del Petrarca, ma non “vecchierel” con quanto c’è di fragile nel termine. Al contrario vigoroso e minace. E a metà strada fra il fragile vecchierello del Petrarca e il granitico vecchio dantesco, mi piace collocare il realisticamente dimensionato vecchio di Gozzano:
L’ottuagenario candido e robusto viene alla soglia, con il suo mangiare (6).
Canuto lui pure, addirittura candido, come il vecchierello di Petrarca, ma con una robustezza che gli consente di salire le scale di casa senza arrancare.
Invecchiare è bello o è brutto? In prima battuta si direbbe che sia brutto, ma morire giovani è peggio. Devo dire che l’invecchiamento per ora non mi sta spiacendo. Anche questa stagione autunnale della vita serba delle sorprese che ci stimolano a sorridere di noi stessi. Una delle cose piacevoli della vita è non essere mai perfettamente uguali se non soltanto nei dati anagrafici. Se non registrassimo in noi delle evoluzioni saremmo dei manichini imbalsamati e probabilmente ci annoieremmo persino a esistere. La salita degli anni verso la maturità offre piacevoli soprese fisiche e intellettuali, che ci abilitano a imprese forse sognate in fanciullezza, pur senza andare oltre la normalità. La discesa degli anni annulla con ironica progressione tutte quelle conquiste. Qualche esempio banale: agilità di movimento, senso dell’equilibrio, capacità di schizzare in piedi dopo essersi chinati a terra magari solo per cercare un libro nel ripiano più basso dello scaffale; abbassamento delle vista; timpani non più perfettamente sensibili; rarefazione del sonno, oppure una miseranda letargia che addormenta appena ci si siede. E poi la memoria che fa cilecca, l’impuntarsi su certe parole e nomi che non vengono, per poi ricomparire quando non servono più. Il fiondarsi da qualche parte a fare qualcosa e quando si arriva a destinazione, non ci si ricorda più cosa si doveva fare. E così avanti.
Tutto ciò e altro che tralascio, più che irritarmi, per adesso mi diverte, forse perché godo ancora di piena autosufficienza; ma fin quando? Questo saliscendi della vita mi aiuta a meglio comprendere la parabola esistenziale, assaporando il realistico ritornello che fa cornice alla meditazione di Qoelet «vanità delle vanità, tutto è vanità» (1,2; 12,8). Ma mi piace sublimarlo con una sapiente integrazione dell’Imitazione di Cristo (7): «praeter amare Deum et illi soli servire» (= tranne amare Dio e a Lui solo servire). In questo modo tutto va a posto! Sono parole che si trovano in apertura di quello che definisco il più sapiente fra tutti i libri non biblici.
A mo’ di battuta terminale, messi da parte i soliti retorici stereotipi a base di “ciò che conta è sentirsi giovani dentro” e altre simili piacevolezze, nessuno è mai così vecchio da non fare progetti per l’anno venturo. Me ne sono accorto quando un mio conoscente ultra novantenne, col quale avevo dimenticato di fare qualcosa a cadenza annuale, mi disse: Vedremo di rimediare l’anno venturo». Non sono potuto trattenermi dal dirgli: «L’anno venturo io potrei non esserci più …». Pur essendo vero anche per me, spero che l’abbia interpretato soprattutto come rivolto a sé!
1 PETRARCA, Canzoniere XVI.
2 Dante lo individua come “colui che si vengiò con gli orsi” (Inferno XXVI 34).
3 L’italiano del ‘300 non è quello inglesizzato di oggi! Ma i versi si capiscono lo stesso.
4 La Bibbia CEI per non complicare le cose rende con vegliardo, mentre altre traduzioni scimmiottano il testo originale rendendo con “Antico di giorni”. Non stava male.
5 Inferno III 82-85.
6 L’Analfabeta, 11-12 in La via del rifugio.
7 I, 1,1.