Geografia diocesana
a cura di Mons. Alberto Albertazzi
alberipazzi@gmail.com
Le avverse circostanze obbligano a ridisegnare la geografia diocesana. Per avverse circostanze intendo la drastica, inarrestabile, inquietante diminuzione numerica del clero. Sono lontani i tempi dei mono-parroci, ossia parroci di una sola parrocchia, magari anche minima. Ormai siamo tutti dei collezionisti. Per quanto mi risulta, lo scrivente è primatista diocesano, bamboleggiandosi sette parrocchie, ma è seguito a ruota da un collega che mi pare ne abbia sei. I parroci sembrano dunque elevati a rango di mini-vescovi, il che impone un’integrazione alla classica gerarchia episcopale: non più solamente vescovi e arcivescovi; ma mini-vescovi, vescovi, arcivescovi. E ora torniamo seri!
Al fenomeno di più parrocchie, più o meno unite sulla groppa dello stesso parroco, si sono tentate varie denominazioni, rimanendo classica “unità pastorale”. Osai suggerire “plesso parrocchiale”, come s’è visto per un po’ nell’intestazione di questo foglio: mi sembrava immediato, di facile comprendonio e legittimato dal vocabolario della lingua italiana; ma si è preferita l’etichetta “comunità pastorale”, un tantino più gergale e olezzante di ovile (1). Ma la questione del titolo è assai periferica rispetto alla sostanza del problema: del resto il nome è sempre appioppato a insaputa del denominato, come capita al battesimo.
La diocesi di Vercelli si sta organizzando su 21 comunità pastorali che si distribuiscono le 117 attuali parrocchie, per una media di circa 5,5 parrocchie per comunità, totalizzanti una consistenza demografica tra i cinque e i diecimila esemplari della nostra specie, non tutti necessariamente cristiani cattolici. La faccenda sembra ancora gestibile, a condizione che l’avvenire garantisca alla diocesi almeno 21 parroci funzionanti (2), ma ciò non è affatto garantito. Ecco perché le 21 comunità parrocchiali, ancorché meticolosamente studiate, hanno la tonalità di ultima spiaggia. Non lo si vuol dire a voce alta, ma dalle nostre parti la Chiesa è a rischio di estinzione: ce lo dimostrano a cadenza annuale prime comunioni e cresime (dovrebbero confezionare i cristiani di domani), che hanno il loro culmine nel pranzo al ristorante, preludio alla successiva, immediata diserzione in massa dalla Chiesa: tutto ciò con scellerata faciloneria di noi gonzi parroci! Né devono illuderci le magne piazzate pontificie per l’Angelus la domenica verso mezzogiorno: quella folla è lì per il personaggio o per Chi rappresenta?
Ci saranno date nel corso dell’anno 2017-2018 indicazioni concrete per far funzionare al meglio queste nuove istituzioni ecclesiastiche, già squillate su un trionfale dépliant variopinto, ricco di vittoriosi punti esclamativi. In realtà a mio modo di vedere contiene gli spasimi di un agonizzante; e forse, invece di quello scintillio cromatico, stava meglio una cornice funebre … Ma annuncia anche la visita pastorale dell’Arcivescovo, che è un benefico classico della vita ecclesiale. In alcune materie le parrocchie conserveranno la loro individualità, in altre invece verrà a prevalere il momento comunitario, condividendo attività e iniziative. Una cosa comunque è certa: parroci e affini potranno riposarsi ancora meno! Come si rimpiangono i tempi quando il bolso anticlericalismo post-bellico gabbava per sfaccendati i vari don Camilli, essendo loro attività prevalente quella di fare dispetti ai rispettivi Pepponi! Ma torniamo a noi.
La nostra comunità pastorale si trova all’estremo vertice settentrionale della piriforme (3) diocesi di Vercelli, e gode di un privilegio onomastico rispetto alle altre. Quest’ultime infatti prendono il titolo della parrocchia principale o ritenuta tale: esempio Gattinara, Santhià, Trino, Robbio, Roasio. La nostra invece è l’unica bi-titolata: la sua ragione sociale è infatti “Crevacuore-Serravalle”, come si legge nell’intestazione di questo foglio. Chissà perché? E’ chiaro che il nome di Serravalle doveva comparire, non fosse altro che per la maggiore corpulenza demografica di quel comune. E allora perché tirare in ballo anche il nome di Crevacuore? Sarà stato per deferenza verso l’antico marchesato … ma non facciamo ridere! Oppure perché suonava bene la terminazione cardiaca (cuore) di detto paese. In ogni caso se, per plausibili e opportune ragioni di uniformità, il nome di Crevacuore dovesse scomparire, l’attuale parroco non si offenderebbe, e probabilmente neppure i parrocchiani.
Non si creda però che l’attuale parroco di Crevacuore diventi automaticamente parroco di Serravalle e dintorni. Non siamo ancora così malconci! Dopo l’ampio rimpasto diocesano avvenuto quest’estate, Serravalle avrà ancora il lusso di un parroco autonomo, col quale dovremo instaurare un regime di collaborazione: con lo slancio che possono avere due ultra-settantenni … Proprio per l’accennato motivo nel riquadro introitale di questo foglio mi sono etichettato “parroco parziale” e non più “pluriparroco”, come in precedenze. Non sarò infatti io l’unico parroco delle dieci parrocchie in epigrafe – come da queste parti mi pare si stia già un po’ paventando -, ma continuerò ad accontentarmi delle sette tradizionali, supportato peraltro da due collaudatissimi aiutanti.
Pare ovvio comunque che queste macro-parrocchie (chiamiamole così per intenderci meglio) nei tempi medi saranno rette da un solo prete, non dotato di ubiquità e sottoposto, come tutti i congegni fisiologici e meccanici, alle leggi della stanchezza. Quindi le prestazioni sacrali saranno drasticamente sfoltite, a partire dal concentrato di feste rionali e alpine (4) dei mesi di luglio, agosto e settembre, i cui ingredienti più ricorrenti sono Assunte e San Rocchi.
Ora cerchiamo di elevarci in ottica soprannaturale. Cito Dante (5), che così interpella Cristo sui mali d’Italia, con l’arditezza di chiamarlo sommo Giove:
E se licito m’è, o sommo Giove,
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
Dante, con rispettosa audacia, sembra rinfacciare a Cristo una certa distrazione dalle faccende italiane. Nell’attuale temperie possiamo assumere l’atteggiamento dantesco circa la situazione della Chiesa italiana ed europea, rimasta per due millenni riferimento costante. Ma Dante, quasi pentito di tale sospetto, pronuncia subito uno speranzoso atto di fiducia:
O è preparazion che nell’abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l’accorger nostro scisso?
Come dire in linguaggio meno paludato: le vie del Signore sono infinite e imprevedibili i suoi sentieri. Speriamo pertanto che in futuro sprizzi una benefica nostalgia di Vangelo, che rimetta Dio al centro della convivenza umana: non sbraitando ferocemente “Allàh è grande”, ma ricuperando la persuasione che «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16).
1 Tempo fa si era suggerito il gracidante agglomerocchia, ossia agglomerato di parrocchie, ma non venne neppure preso in considerazione (A. ALBERTAZZI, Zibaldino ossia frattaglie mentali di un parroco di montagna, Publycom Editore, Vercelli 2017, p. 205). Si capisce a colpo d’occhio perché! Adesso mi viene in mente pure l’etichetta “Parrocchie Unite di Vercelli” (PUV), ma penso che Trump si irriterebbe per smaccato scimmiottamento di Stati Uniti d’America.
2 Ossia raziocinanti e sgambettanti.
3 A forma di pera: così infatti appare a colpo d’occhio sulla carta geografica.
4 Mi riferisco non all’ambiente alpino ma all’ANA (Associazione Nazionale Alpini).
5 Purgatorio VI 118-123.