XXVIII domenica tempo ordinario Mt 22, 1-14

 
 

L’invito rifiutato, vocazione disattesa –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –

Queste domeniche Gesù sfodera parabole a raffica, ed eccoci all’ultima (per il momento). Ci si sposta dalla vigna alla mensa nuziale.

La parabola è introdotta con la clausola usuale «Il regno dei cieli è simile a» È una clausola introitale segnaletica del filtro interpretativo della parabola, che aiuta il lettore a superare un paio di incongruenze marchiane, in quanto non è detto che nel regno dei cieli tutto funzioni come sulla crosta terrestre. Prima incongruenza: non si capisce che resistenza alla cottura avessero quegli alimenti. Tra il primo invito e finalmente la consumazione è intercorso tempo imprecisabile. Facciamo un rapido censimento degli eventi intermedi: prima chiamata degli invitati e loro renitenza; seconda chiamata e rinnovata facinorosa renitenza, facendoci scappare anche dei morti con relativi funerali; incendio della città di quei farabutti. Poi ripartono gli inviti, ma improvvisati a casaccio, perlustrando qua e là le strade. E finalmente si mangia. Bisogna dare atto dell’elevata professionalità di quei cuochi che sono riusciti a mantenere commestibili gli alimenti in un lasso di tempo così lungo. Seconda incongruenza: come faceva quel tapino, rastrellato fortuitamente per la strada, a mettersi in ghingheri, non avendo il guardaroba a portata di mano? E inversamente, come hanno fatto gli altri raccogliticci ad addobbarsi per una mensa nuziale dietro invito incalzante? Non è detto a tutte lettere, ma è pensabile che gli ospiti rastrellati fossero dei clochard.

Non sembra campata per aria l’ipotesi avanzata da taluni che si tratti di due parabole redazionalmente fuse in una: la prima sarebbe mirata sul cambio di invitati, con sottolineatura del tema di fondo della scorsa domenica: «A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,44). La seconda sarebbe una parabola relativa alle regole di accesso al regno dei cieli, fruendo della beatitudine squillata da anonimo nel vangelo di Luca (14,15). Comunque sia il montaggio, a noi la parabola interessa come ci è pervenuta.

I molti inviti inevasi fanno venire in mente vocazioni mancate. Gli invitati pare che se ne vadano alle loro faccende alzando le spalle, con seccata noncuranza. L’invito non interessa più, hanno altro in mente. Il regno dei cieli non interessa: sembra la situazione dell’Europa attuale, che fa ogni sforzo per emarginare Dio dalla sfera pubblica. Ogni riferimento a lui è un oltraggio al “politicamente corretto”, che vede la correttezza soltanto nell’ostentata neutralità del laicismo. Allora la chiamata si rivolge altrove, nei bassifondi e si ramazzano buoni e cattivi, in ogni caso solleciti nell’accettare l’invito. Così la sala si riempie. A questo punto ecco la ricognizione da parte dell’anfitrione, che passa in rassegna i convitati, tutti tirati a lustro tranne uno che evidentemente attira l’attenzione per il suo dimesso abbigliamento: indossava i jeans strappati, secondo usanze odierne, invece dello smoking, come previsto da etichetta di corte. Il re lo interpella cortesemente «Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?». L’approccio è blando, amicale, ma l’interpellato, forse intimidito, ammutolisce. Ammutolire è diverso da non rispondere: si ammutolisce infatti per soggezione; non si risponde perché non si sa o non si ha voglia. Forse se avesse farfugliato almeno qualcosa, avrebbe evitato il severissimo trattamento: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». Il trattamento sembra eccessivo, solo per non essersi presentato da elegantone. Ma la logica della parabola vuole così. Non è sufficiente presentarsi, ma bisogna presentarsi come si deve.

In fondo il comportamento di questo cotale non è molto diverso da quello dei primi e secondi renitenti. Ambo i comportamenti equivalgono a snobbare l’invito: non è molto diverso far che non andarci e andarci stonando. L’Apocalisse (19,9) ci aiuta a capire: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello». Possiamo vederci sia l’eucaristia che si celebra su questa terra sia l’ingresso definitivo nel regno di Dio. In ambo i casi le condizioni sono due: accettare sollecitamente l’invito e presentarsi nelle condizioni migliori che, in linguaggio catechistico, chiamiamo grazia di Dio.

Ma rimaniamo coi piedi per terra. Perché non scorgere in questa parabola anche un invito a una dignitosa eleganza quando si va a messa? In tempi meno buzzurri ci si vestiva «per la festa»; in tutti i guardaroba c’era l’abito «della domenica». Invece ai nostri giorni si gabba per cervellotica eleganza ciò che è soltanto sciatteria, e malconci ci si presenta anche alla comunione, magari con le mani in tasca… Ormai sono un uomo d’altri tempi!