IV Domenica di Pasqua Gv 10,11-18
Gesù ci rende veri figli di Dio –
a cura di Don Gian Franco Brusa –
Stiamo celebrando la domenica, festa del Risorto, nel tempo di Pasqua. In queste settimane la Chiesa ci educa a cogliere i segni della presenza di Cristo nella storia di oggi. La Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ricorre proprio questa domenica, richiama l’attualità della proposta evangelica e soprattutto l’attrazione suscitata da Gesù. Non si insegue un ideale, non ci si mette al servizio dell’azienda-Chiesa, non si segue l’insegnamento di un moralista, ma si aderisce a Cristo, che passa sulla strada della nostra vita e ci interpella.
Viviamo in una società anonima, amorfa, dove ognuno di noi è essenzialmente un numero, dove talvolta si preferisce stare nel branco, vivere nel conformismo, non assumersi le proprie responsabilità. Gesù compie un percorso diverso: interviene per avviare un rapporto personale, a tu per tu, dà l’esempio come buon pastore disposto a donare la vita per il gregge. Cristo non è un mercenario: non vuole sfruttare nessuno, ma permette a tutti di avere una vita davvero riuscita, felice perché donata, impegnata al servizio di Dio e dei fratelli. Egli desidera dire a tutti che c’è il lupo, cioè il pericolo, rappresentato dalle tentazioni del Maligno, dalle proposte del nulla, dagli ideali che deludono. Ma soprattutto ama indicare il bene, il positivo, la via per affrontare la vita nell’amore, nella crescita autentica; suggerisce dove trovare il senso della quotidianità, come riempire il vuoto diffuso, specialmente nel cuore dei giovani.
Gesù non è lontano da nessuno, non si spaventa dei nostri limiti o del nostro peccato. Anzi, come buon pastore ci avvicina più volentieri, perché sa che, convertendoci a Lui, possiamo vivere da veri figli di Dio, attingere nuove energie, dare una svolta alla nostra vita. Egli ha fiducia in ciascuno di noi molto più di quanto noi abbiamo fiducia in noi stessi. Come un giorno ha chiamato gli apostoli, così oggi chiama ancora a lavorare per lui e con lui. E la vocazione si radica nell’amore. Non è un fatto organizzativo: esige una passione, parte da un innamoramento, richiede un calore di ascolto, di partecipazione, di fiducia. Identificandosi buon pastore, o meglio, “bel pastore”, Gesù dimostra di conoscerci, ci chiama per nome e non ci lascia mai soli. È lì attento a guidare, a proteggere, a difendere noi tutti sue pecore, una volta intrapresa la strada da percorrere.
Cristo non è un pastore regale come lo erano i capi del popolo di Dio, è invece uno di noi, piccolo, povero, umile, capace di dare la vita per il suo gregge. La salita al Calvario, gli oltraggi subiti e la morte in croce attestano quanto ci abbia amati fino a sacrificarsi per noi. Contrariamente al buon pastore, il mercenario, che non ama, sfrutta il gregge e, con l’avvicinarsi del pericolo, fugge, lasciandolo in balia del lupo di turno, perché non gli appartiere. Oggi con l’offerta della nostra preghiera al Signore, invochiamo il dono delle vocazioni sacerdotali e di particolare consacrazione, sempre più modellate all’immagine del Cristo unico, vero buon Pastore. Chiediamolo modo particolare per la nostra amata Chiesa eusebiana.
Buona domenica