XXIII domenica tempo ordinario Mc 7,31-37

 
 

Apriamo la mente e il cuore a Dio –

a cura di Don Gian Franco Brusa –

La pagina del Vangelo di questa domenica descrive un gesto di Gesù che, a prima vista, risulta alquanto strano: tocca con le dita le orecchie di un sordomuto e gli mette un po’ della propria saliva sulla lingua, restituendogli l’udito e la parola. Se ci fermassimo qui, potremmo farci l’idea che sia un “mago”, per di più dai modi primitivi. Mirabile come miracolo fisico, la guarigione del sordomuto è raccontata da Marco come segno della necessità di aprire le orecchie e di sciogliere la lingua dello spirito nel rapporto con Dio e con il prossimo. Il gesto di Gesù si rivela, dunque, carico di applicazioni a livello spirituale. Come del resto tutti i miracoli che egli compie: mai fini a se stessi, ma segni e anticipi della guarigione totale dell’uomo. Cerchiamo allora di ricavarne i messaggi sempre attuali.

Il miracolo descritto avviene nel territorio della Decapoli, che comprende dieci città libere ai margini della Palestina, con popolazioni e fedi differenti, anche pagane. Gesù conduce il sordomuto in disparte, lontano dalla folla, perché sempre si chiudono le orecchie e si blocca la lingua di fronte ai valori dello Spirito, quando si è immersi nel frastuono, nella mentalità e nelle abitudini di un ambiente pagano o paganeggiante. Allora bisogna ritirarsi in disparte, riservandosi momenti di raccoglimento e di preghiera, per tornare a udire la voce di Dio e avere il coraggio di professare la fede in Lui.

Gesù porta il sordomuto tra altre persone che pregano per lui e compie il miracolo nella maniera più semplice: con il tocco delle mani, l’uso della saliva e l’imperativo «apriti! (effatà)», pronunciato con un sospiro di partecipazione. L’imposizione finale di non parlare della guarigione fa parte del cosiddetto “segreto messianico”, presente soprattutto in Marco.

Un segreto che viene disatteso. La folla, testimone dell’accaduto, non riesce a trattenere lo stupore e ripete unanime: «Ha fatto bene ogni cosa» (v. 37). Il legame stabilito dalla liturgia domenicale con il testo del profeta Isaia (prima lettura) aiuta a comprenderne la ragione. Con Gesù c’è come un’iniezione di speranza; è giunto il tempo in cui Dio dice al suo popolo: «Coraggio, non temete!» (Is 35,4). È il tempo in cui si stanno verificando i segni dell’avvento di un mondo nuovo, quando «si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora… griderà di gioia la lingua del muto» (Is 35,6). Lo stupore e la speranza suscitatrice di vita provocati dalla persona di Gesù attraversano i secoli e mantengono viva la speranza nella Chiesa.

La parola effatà, inoltre, è entrata nella liturgia battesimale: al termine del rito, infatti, il sacerdote tocca le labbra e gli orecchi del bambino e prega che egli possa presto ascoltare e annunziare la Parola del Signore trasmessa dalla Chiesa. La stessa Parola che il Cristo rivolse al sordomuto, affinché si riattivassero i suoi sensi e incominciassero a funzionare normalmente, la Chiesa la rivolge all’uomo interiore, perché si apra ai divini misteri mediante la luce della fede, dell’amore, della speranza; perché, attraverso il Battesimo, viva sempre più intensamente la vita divina nella propria anima. La grazia battesimale è da accogliere sempre e di nuovo, poiché sempre e continuamente deve svilupparsi e crescere in noi, in modo che l’esistenza cristiana diventi una graduale, costante collaborazione con quel misterioso inizio di vita divina.

La Parola di Gesù che, in sintonia con il Padre, ridà la vita: «Apriti!», possa aiutare tutti noi, sordi e muti, ad ascoltare, mettere in pratica, testimoniare, divulgare la verità, a farla conoscere a chi la cerca inconsapevolmente nelle cose vane del mondo ed è incredulo.

Buona domenica