CONSIGLI EVANGELICI

 
 

CONSIGLI EVANGELICI

Nella vita s’incappa in comandi e consigli. I comandi sono da eseguirsi, i consigli si danno in termini di prendere o lasciare e si resta amici come prima (più o meno). Il consiglio merita tanta più considerazione quanto più autorevole è il consigliere. Sui comandi non c’è da discutere essendo perentori.

Questa banale chiacchierata per tirare in ballo i così detti consigli evangelici. Anche se provengono da un magistero altissimo, nessuno è obbligato ad accettarli. I consigli evangelici sono tre: castità, povertà e obbedienza. Si dicono evangelici perché in vario modo segnalati e vissuti da Gesù, che ha insegnato con la parola e con la vita. Dei tre quello più documentato verbalmente è il consiglio di povertà. Il magistero di Gesù su questo tema è ricchissimo. Cito solo l’episodio classico del “giovane ricco”, partito bene ma stoppato quando Gesù gli dice: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21). Come dire: ricchezze e perfezione evangelica sono incompatibili.

La castità è stata vissuta da Nostro Signore, che ha avuto ammiratrici (cfr Lc 11,27-28) cui non ha fatto concessioni. Ha dato qualche rifinitura al sesto comandamento prospettando una fattispecie di adulterio mentale (cfr Mt 5,27-28) e ha segnalato in forma enigmatica il celibato come progetto di vita (cfr Mt 19,10-12), dicendolo in seguito (Mt 22,30) segnaletico della vita dopo la risurrezione.

Dell’obbedienza ha detto meno ancora, vivendo peraltro in assoluta obbedienza alla volontà del Padre, secondo il teorema: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).

Dei tre consigli il più importante, efficace e decisivo è l’obbedienza. Gesù avrebbe potuto salvarci anche essendo “casto” come il re Salomone: mille femmine intercambiabili tra mogli e concubine (cfr 1 Re 11,3). Niente paura! I numeri biblici sono sovente sparati. Avrebbe potuto salvarci anche se fosse stato “povero” come Paperon de’ Paperoni. Ma non avrebbe potuto salvarci se fosse stato ribaldo verso la volontà di Dio, che aveva congegnato la nostra salvezza a costo della Sua pelle.

I consigli evangelici liberamente e seriamente assunti diventano obbligatori, quando si solidificano in quell’istituto giuridico che si chiama voto, onde si parla di voto di castità, di povertà e di obbedienza, ai quali sono tenuti i religiosi. Nessuno è obbligato a farsi religioso. Però, se uno liberamente vuol farsi religioso, sa in partenza che sarà tenuto a castità, povertà e obbedienza. Chi sono concretamente i religiosi? Sono quel “personale ecclesiastico” qualificato dai consigli in questione; personale maschile e femminile, sacerdotale e non, che non dipende direttamene da un vescovo ma da un superiore/a maggiore. Per intenderci: francescani, domenicani, salesiani, gesuiti, Figlie di Maria Ausiliatrice e Figlie di molte altre Madri e Padri, eccetera. Tutti questi cotali e moltissimi altri ancora sono detti religiosi e, come tali, sono tenuti ai tre voti.

I preti diocesani sono quei sacerdoti che dipendono da un vescovo e agiscono nell’ambito della diocesi, ossia parroci e affini. Questi personaggi hanno trattamento più leggero in fatto di voti, perché emettono solo quello di castità. Al vescovo si vincolano con un rapporto più blando che non si chiama voto ma promessa di obbedienza. E, se hanno voglia e ci riescono, possono fare soldi a palate. Ma un prete diocesano che negozia l’obbedienza si squalifica. Come si squalifica un prete diocesano che bazzica troppo per le banche, e non solo per depositare le questue domenicali. Dunque per i preti diocesani la povertà resta un consiglio da prendersi seriamente e l’obbedienza al vescovo una promessa da ottemperarsi per non perdere la faccia.
Vediamo ora come appaiono i consigli evangelici al popolo di Dio. Dell’obbedienza poco si sa. Viene trattata fra vescovo e prete. Quando poi i fedeli si vedono arrivare il tal parroco, sono ignari dei tentativi che il vescovo ha fatto in precedenza per trovare disponibilità all’incarico. Ci sono destinazioni che vanno via lisce e spedite, altre invece sono più laboriose. Le parrocchie non hanno tutte lo stesso indice di gradimento e non tutti i preti hanno pari propensione alle valigie. Ripeto però che farsi forzare sull’obbedienza è il modo migliore per mascherare la fisionomia di Cristo che «si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8).

La povertà o non povertà dà molto più nell’occhio. Bilanciarla sulla giusta misura non sempre è facile. C’è il rischio di scivolare verso la sciatteria per ostentato pauperismo, e il rischio di sofisticazione per eccesso di raffinatezza. La spia in genere sono casa e automobile, considerando però che la casa è un bene della chiesa da tenersi in sesto senza nobilitarla in reggia; e l’automobile serve per una quantità di corse pastorali, per le quali non è necessaria la Maserati. La cosa più sordida che possa fare un prete è di avvalersi di prestazioni e uffici pastorali per mettersi quattrini in tasca. Se ci sono eccedenze, ben vengano, ricordando però che ci sono anche i poveri.

Su questa faccenda il parroco è molto tenuto d’occhio dalla sua gente e la sua qualità si valuta pure nel modo di gestire i quattrini, della parrocchia e suoi personali: un parroco può anche venire da famiglia benestante. Ma in questo caso i soldi gli sono piovuti addosso e non se li è guadagnati: un motivo in più per non considerarli rigorosamente suoi, orientandoli in beneficenza, senza aspettare a farla per testamento. Dinanzi a Dio vale l’elemosina fatta da vivi non da morti.

Gli sgarri sulla povertà suscitano nei fedeli indignati commenti, quelli sulla castità suscitano invece commenti divertiti. Basta pochissimo per farli scattare. E’ sufficiente che una donna appena appena passabile entri ed esca qualche volta dalla casa parrocchiale, anche a orari non sospetti, per inventare storie in rosa. La novità sono i casi di pedofilia, certamente avvenuti, per i quali troppe volte, a parer mio, si è chiesto scusa da altissimo livello. I media fanno cadere un po’ tutti in un subdolo tranello: essere indagati è già essere colpevoli e l’infamia sull’eventuale riabilitato resiste.

Qual è la “filosofia” soggiacente ai consigli evangelici? E’ quella di liberare il cuore per abilitarlo al servizio di Dio, tacitando devianze di per sé non illecite. Mi spiego: l’uomo può essere disturbato da fattori interni e da fattori esterni. Fattori esterni sono le cose e il loro possesso, tacitate dal consiglio di povertà. Fattori interni sono il proprio io, più o meno arrogante, ammansito dal consiglio di obbedienza; e le pulsioni biologiche, tenute a bada dal consiglio di castità. Se questi fattori di disturbo restano imbrigliati, Dio si installa meglio nelle meningi dell’interessato. Provare per credere!

Conclusione: i consigli sono ottimi lubrificanti della vita evangelica, ma fanno bene a essere solo consigli. Se fossero precetti, si arriverebbe all’assurdo. Una castità assoluta e generalizzata non avrebbe consentito all’umanità di arrivare fino a stamattina (forse sarebbe stato meglio …). Parimenti una povertà assoluta e generalizzata avrebbe fatto morire tutti di fame. Se tutti dovessero obbedire, non saprebbero a chi obbedire perché non ci sarebbero più i comandanti!

DON ALBERTO ALBERTAZZI