Il cuore del cristiano terra di Dio – XV domenica tempo ordinario

 
 

Gesù esce di casa. Esce dal luogo in cui dimorava con i suoi discepoli, il luogo dell’insegnamento alla comunità dei suoi seguaci, per poter stare con tutti, con noi che vogliamo ascoltare la sua Parola. Egli esce e sale su una barca. La folla, tutta in piedi sulla spiaggia, lo segue con gli occhi e con il cuore. Ed ecco una storia semplice, fatta di paragoni e di metafore; eppure il suo significato è molto profondo. Gesù parla di cose usuali, quotidiane, ma noi vi dobbiamo scorgere ciò che sottendono e che è arcano, nascosto, divino.
«Un seminatore uscì a seminare…».
In Palestina, ai tempi di Gesù, la semina si faceva prima di arare il campo. Solamente dopo, con l’aratro a chiodo, si ricopriva il seme facendolo penetrare nella terra, che l’avrebbe custodito fino alle prime piogge e l’avrebbe poi alimentato fino al momento della mietitura. Dunque il contadino spargeva il seme ovunque, con gesto ampio, senza badare dove andasse a cadere perché, per esperienza antica, conosceva bene il processo dell’aratura. Spargeva ovunque ma non sbadatamente: non sceglieva terreni, non scartava possibilità, era generoso, seminava a larga mano.
È facile individuare Dio nel seminatore che vuole parlare agli uomini attraverso suo Figlio, la Parola del Padre, che sparge i suoi semi di vita a piene mani, che si ostina a credere nei frutti del nostro lavoro, e ancor più nel frutto dei nostri cuori. Perché è proprio lì nel cuore che Egli semina, perché noi siamo il campo di Dio (1Cor 3, 9). E la Parola è seme nel terreno della storia, fermento nel groviglio delle vicende umane, anche se non sempre è facile scorgere fra le trame del mondo il disegno meraviglioso del Padre.
La Parola di Dio è seme immortale. È seme di vita vera ed eterna che ci genera a “sua” immagine (Pt 1,23): Gesù è venuto a portarla e ad annunciarla.
Purtroppo il cuore dell’uomo, tante volte, è come quella terra infeconda che non accoglie. Ma Cristo non si arrende. Ha la stessa certezza del contadino che conosce la forza vitale del seme e sa che anche se a volte viene soffocato, la sua potenzialità è tale che alla fine ogni semina avrà successo e sarà fruttuosa. E quando la situazione è critica non si perde in lamentele, non vede tutto nero; le difficoltà purificano la sua fede, esprimono la sua fiducia, alimentano la sua speranza.
All’inizio, tante volte la semina sembra un fallimento: pare che i rovi, le spine, i sassi abbiano il sopravvento sulla germinazione del seme; invece, alla fine, il raccolto arriva comunque: la piccola porzione di terreno “buono” ha superato la prova, il risultato è un abbondante, sicuro, generoso raccolto.
Così il cristiano non perde mai la sua identità di “figlio”; continua ad essere fatto da Lui a sua immagine e, in Lui e per Lui vive, si muove, canta, sogna… È sempre terra adatta ad accogliere “quel seme” che le conferisce la propria identità. Al di là dei sentieri pietrosi che lo attraversano, dei rovi che cercano di dominarlo, delle spine che lacerano la sua carne, è sempre terra di Dio, che nasconde il desiderio della sua Parola, che la vuole accogliere e soprattutto comprendere – nel linguaggio biblico significa adesione, amore operoso – perché crede nella sua potenza.
Sì, Dio è davvero Colui che «come in un otre raccoglie le acque del mare e chiude in riserve gli abissi» (Sal. 33,7) e non perderà mai il controllo della storia e del mondo.
Il cristiano, invece di scoraggiarsi nelle difficoltà, a imitazione di Cristo che già vedeva nella Croce la sua gloria, pur nella fatica intravede il risultato, sa che verrà il tempo in cui «le valli si ammantano di grano, e tutto canta e grida di gioia» (Sal. 65, 14).