Diluizione vocazionale

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

alberipazzi@gmail.com

Nel mese di gennaio ricorrono eventi a vario raggio cronologico. Cominciamo dal maggiore: la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani (dal 18 al 25). Pregare fa sempre bene ma l’unità dei cristiani non va avanti. Mi pare di averlo già scritto: quando divergenze religiose si trasfondono in cultura, in modi di pensare e di agire, fare marcia indietro è quasi impossibile. Occorrono gesti e iniziative significative, ma pare che nessuno ne abbia voglia. Quindi questa settimana si conferma come la settimana degli sterili sorrisi reciproci.

C’è poi anche la giornata pro-seminario, che ci fa toccare tasti dolenti. Parlare di seminario vuol dire parlare di vocazioni alla vita sacerdotale. Pare che pochissimi ci pensiono. O forse ci pensano in molti ma “pochississimi” (1) ne fanno l’opzione. Gran tristezza, sulla quale occorre riflettere.

Mi diceva recentemente una signora ucraina che dalle sue parti i sacerdoti sovrabbondano. Avrà magari esagerato un po’, ma comunque la dice lunga. E perché da noi sono in estinzione? Le cause sono note e molteplici, ma vorrei tirarne in ballo un paio cui forse poco si pensa. Innanzi tutto va detto paradossalmente che la persecuzione ha sempre fatto bene alla Chiesa! La storia lo dimostra. Non dimentichiamo che l’Ucraina faceva parte della defunta Unione Sovietica, che non ha mai avuto mano carezzevole verso la Chiesa, cui ha preferito assestare ceffoni. Questo regime ostile ha fatto sì che la Chiesa si rafforzasse, essendo per lei questione di vita o di morte. E una Chiesa inopinatamente vitalizzata dalla persecuzione, produce vocazioni. Dalle nostre parti vistose persecuzioni di regime non esistono più, e probabilmente è meglio così; ma la Chiesa è in affanno, perché scarseggia il “personale” per tirare avanti.

Quando si parla di Chiesa ucraina, si parla di chiese orientali, così diverse dalle occidentali. Esattamente come l’oriente è diverso dall’occidente. La diversità comincia dall’astronomia, perché il sole sorge a oriente e tramonta in occidente. Il tramonto di qualcosa di positivo, diverso dal sole, non è mai un bel segnale. Il sole tramonta, ma si è certi che il giorno dopo risorge. L’oriente è quindi associabile alla nascita e il tramonto alla morte. Questo palleggiamento fra oriente e occidente, vuol farci pensare che la Chiesa occidentale è in declino? Io personalmente lo penso, mettendo da parte ogni forma di trionfale ottimismo, che si attizza solitamente per rinnovate formule pastorali. E un segno del suo declino è la preoccupantissima carenza di vocazioni tipica delle nostre parti. Pare incontestabile che le Chiese orientali, cattoliche e ortodosse, abbiano una maggiore e promettente tenuta vocazionale, con più agevolata possibilità di ricambio. Il motivo? Probabilmente ce n’è più d’uno. Ma su uno in particolare mi voglio ora soffermare.

Da quel poco che conosco le Chiese orientali, mi pare che i loro sacerdoti abbiano conservato inalterata la loro peculiarità: sono rimasti ministri del culto e soltanto di quello, riconoscibili come tali anche al di fuori dell’esercizio ministeriale. I sacerdoti della Chiesa occidentale invece si sono diluiti su una quantità di altri fronti che, con il sacerdozio tradizionalmente e istituzionalmente inteso, c’entrano ben poco. Tiriamo in ballo ora i nostri oratori tradizionali. Già ci si imbatte in un grossolano equivoco terminologico, perché il termine oratorio significa etimologicamente luogo di preghiera: per lo stresso motivo per cui refettorio significa luogo dove si magia, dormitorio luogo dove si dorme, mortorio luogo dove … si muore. Ma cosa sono diventati gli storici oratori parrocchiali? Essenzialmente luoghi e strutture di protetto divertimento giovanile. Tanto da doversi munire di campo da calcio, di salone cinematografico, calciobalilla, palestra, sala di riunioni e simili. Perché ho usato l’aggettivo “protetto”? Perché chi vi giocava al pallone aveva buone garanzie di praticare quello sport in maniera educata e corretta, non senza escludere la possibilità di fare carriera. A chi andava al cinema dell’oratorio erano garantite proiezioni educative e castigate. E tra l’una cosa e l’altra ci potevano essere momenti e incontri di riflessione. In ogni caso, chi frequentava l’oratorio era tolto da in mezzo a una strada.

Chi era il gestore di tutto questo carrozzone? Era il viceparroco, il quale doveva occuparsi dell’una e dell’altra cosa. E lo faceva con intraprendenza e spirito manageriale. Sbagliato tutto questo? No di certo, salvo un particolare a parer mio a quei tempi sfuggito. Questo: l’originario spessore liturgico e orante del sacerdozio, veniva banalmente, progressivamente, insensibilmente, diluito sul sociale. Onde il don dell’oratorio era equivocamente percepito più come un assistente, un promotore sociale, che come un “uomo di Dio”, con quanto c’è di carismatico in questa ormai inconsueta espressione. Il prete è sempre uomo, ma deve decidere se palesarsi prevalentemente come “uomo dell’uomo” o come “uomo di Dio”.

L’oriente cristiano non è caduto in questo tranello: il sacerdote ha conservato inalterato il proprio profilo di uomo del sacro, senza equivoci e senza sbavature in altre direzioni. E il sacro, per la sua prossimità al divino, si impone da solo esercitando attraente fascino, che a sua volta clona vocazioni. Se al sacro non si riconosce la priorità, la Chiesa si auto-destina alla rottamazione.

Il documento vincente del primo post-Concilio Vaticano secondo fu la Costituzione Liturgica. Si era capita la benefica importanza della liturgia, s’era notato come ne fosse necessaria una riqualificazione. E queste trasfusioni liturgiche alla Chiesa hanno fatto un gran bene. Ma successivamente si è fatto largo la Gaudium et spes, la Costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo, mettendo in campo altre priorità, che la Chiesa ha riconosciuto come sue: fame, disoccupazione, guerre, sperequazioni sociali, dislivelli economici, e da ultimo l’ecologia. Sono tutti problemi enormi, ma non saprei di quale pertinenza ecclesiale. Se non si avesse la presunzione di localizzare il paradiso in terra, ma lo si lasciasse in cielo, forse avremmo una rifioritura vocazionale. Ma per ciò fare è necessario centralizzare il tema dell’eternità. Chi ne parla ancora?

1 Nuova forma grammaticale denominata “superlativo superlato”(!?).