Domenica 7 gennaio: Battesimo del Signore
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
La figura del Battista che ci ha accompagnati nel corso dell’avvento riappare oggi in questa scena che apre la vita pubblica di Gesù. Marco lo presenta attraverso una serie di paragoni che mettono in risalto la grandezza, pur diversa, di entrambi i protagonisti. Anche noi, spesso, ci confrontiamo con gli altri, ma quasi sempre lo facciamo con lo scopo, più o meno esplicito, di evidenziare la nostra superiorità o rafforzare il nostro senso di inferiorità da cui spesso nascono invidie, gelosie e rancori. Il Battista, al contrario, è un puro di cuore, capace di dimenticare sé stesso per far risaltare la grandezza del cugino; è uno che ha abdicato a ogni suo possibile diritto rispetto a colui che egli considera “più forte”. La grande differenza che distingue i due personaggi non riguarda, però, solo la personalità; essi sono diversi anche per le opere che compiono: entrambi battezzano, ma quello di Giovanni è semplicemente un segno di purificazione che si realizza attraverso l’acqua; al contrario Gesù battezzerà nello Spirito Santo. In queste parole troviamo mirabilmente sintetizzata tutta l’opera di salvezza del Cristo e tutto il mistero che abbiamo celebrato nel Natale. Essere battezzati nello Spirito Santo significa ricevere un inestimabile dono: essere immersi nella vita di Dio. La nostra povera vita, quella vita di cui spesso percepiamo il peso e la fatica, può trasformarsi se dallo Spirito ci lasciamo guidare per imparare da Dio a pensare, agire, sentire e amare come Lui. Saremo così a poco a poco introdotti nella vita di Dio, in un’esistenza in cui ci lasciamo guidare in ogni istante dalla sola legge dell’amore. Ed è proprio questo ciò che contempla Giovanni in quel cugino “più forte” di lui il quale si china davanti a lui proprio come farebbe un discepolo per farsi battezzare. L’amore non si eleva, “non si vanta e non si gonfia di orgoglio” (1Cor 13,4), dice Paolo; esso preferisce scendere in basso e così come a Natale il Verbo era sceso per assumere la nostra carne mortale, ora scende nel Giordano per portare su di sé il peso delle nostre colpe e del nostro peccato. Attraverso questa immagine – la discesa nel fiume per farsi battezzare – Marco ci propone quanto l’apostolo Paolo descrive in termini puramente teologici: “svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,8). “Scendere”, “svuotarsi” sono i vocaboli che caratterizzano l’amore, il bisogno di donare tutto e non trattenere nulla per sé. Ed è proprio questo amore totalizzante e disinteressato quanto fa gioire il cuore del Padre e rende Gesù figlio amato, figlio simile a Lui, oggetto del suo compiacimento. Ecco quanto percepisce Gesù in un momento di straordinaria intimità con Dio. Marco scrive che egli vide “squarciarsi cieli”: un’espressione da non interpretare in senso letterale, ma metaforico; essa esprime l’annullamento di ogni distanza fra cielo e terra, l’irrompere della presenza di Dio nella vita dell’uomo Gesù. Così come egli era sceso nelle acque del Giordano, nello stesso modo ora contempliamo un’altra discesa: quella dello Spirito Santo, la persona divina che mantiene il legame d’amore tra il Padre e il Figlio. Ed è proprio all’interno di questa comunione che Gesù può udire la voce con cui viene confermata la sua identità di Figlio di Dio e la sua missione: essa non sarà altro che uno scendere ulteriore, fin negli abissi della morte, per aprire anche a noi le porte del cielo e renderci figli in Lui.