Domenica delle Palme

A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Nelle ultime domeniche la liturgia ci ha invitati ad approfondire due contenuti cari all’evangelista Luca: la misericordia e il perdono. Attraverso il racconto dei due fratelli nella parabola del padre misericordioso e la descrizione della violenza accusatoria di scribi e farisei nei confronti della donna adultera, la Parola di Dio ci ha costretti a prendere atto del peccato presente dentro di noi; nello stesso tempo essa ci ha introdotti nella contemplazione dell’infinita misericordia del Padre incarnata nella persona del Figlio. Questi due temi fondamentali per la nostra fede ritornano in questa Domenica delle Palme in cui la Chiesa tradizionalmente propone il Vangelo della Passione, che quest’anno leggiamo nella versione lucana. Anche qui ritroviamo gli stessi tratti di ribellione a Dio e di durezza verso il fratello che avevamo incontrato nella parabola del Prodigo: come per il figlio maggiore nei confronti del minore, anche per i suoi accusatori Gesù non è “l’altro” che merita rispetto e accoglienza, ma è il rifiutato, l’escluso, il colpevole; nello stesso modo, così come l’adultera è stata posta al centro del gruppo dei suoi accusatori, resa bersaglio della loro aggressività e non più persona, pure Gesù è qui diventato semplice oggetto della curiosità morbosa di Erode, desideroso di vedere un miracolo, e della pusillanime vigliaccheria di Pilato il quale, pur sapendolo innocente, lo consegna tuttavia ai suoi uccisori. Quel male, di cui eravamo stati invitati a prendere consapevolezza nelle domeniche precedenti, ci appare oggi in tutta la sua drammatica gravità; essa raggiunge il culmine nell’uccisione di Gesù, a cui anche noi abbiamo collaborato con il nostro carico di peccato che ci obbliga, di conseguenza, al pentimento e alla richiesta di perdono. Contemporaneamente al progredire del male che si accanisce sul Signore vediamo crescere i segni di dolcezza, di bontà, di misericordia da parte sua. Essi traspaiono dalle parole che egli pronuncia nel corso dell’ultima cena, soprattutto dal desiderio ardente di mangiare la Pasqua con i suoi, e nella preghiera perché non venga meno la fede di Simone; li vediamo inoltre concretizzati nella guarigione del servo del sommo sacerdote e nello sguardo rivolto a Pietro, che spinge quest’ultimo a piangere amaramente. Questo amore infinito e misericordioso raggiunge il suo apice sulla croce nelle parole rivolte al Padre e nell’accogliente bontà verso il malfattore che riconosce il male compiuto e gli domanda di essere ricordato. Quel perdono e quella misericordia che hanno accompagnato il nostro percorso quaresimale si esprimono, quindi, qui in tutta la loro pienezza. Gesù supplica il Padre e sembra perorare la nostra causa, ricordandogli una drammatica verità: noi non sappiamo quello che facciamo, siamo fragili creature che si nascondono dietro alle loro illusioni e difese; nello stesso tempo egli apre le porte del paradiso al malfattore, di cui dimentica il passato colmo di peccati, ma preserva il ricordo della persona, come egli stesso aveva domandato. Di fronte a una tale abbondanza d’amore il buio, il male non possono prevalere: ecco, infatti, che iniziano a splendere le luci del sabato mentre Giuseppe di Arimatea, uomo buono e giusto, depone Gesù dalla croce e, con gesti di madre, lo avvolge in un lenzuolo proprio come farebbe una donna con il figlio appena nato. Sono i primi segni di quella vita nuova che sta per sbocciare nella risurrezione.