Domenica di Pasqua

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Nel racconto della Passione, subito dopo aver descritto la morte di Gesù, Matteo aggiunge: «Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò e le rocce si spezzarono». Si tramanda che il velo del tempio, in quanto simbolo dell’universo, fosse intessuto di stelle e costellazioni. Il suo lacerarsi esprime, dunque, la dimensione cosmica del sacrificio di Gesù, l’irruzione di una novità completamente diversa nella storia dell’uomo e del cosmo. Questo tema è ripreso e celebrato anche nella Veglia Pasquale quando il sacerdote, incidendo nel cero la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, dice: «Il Cristo ieri e oggi, Principio e fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli…». «L’alba del primo giorno della settimana» di cui parla Matteo non costituisce, quindi, un semplice dato cronologico, ma è il segno dell’inizio di una nuova era. Quella pietra, che per precauzione è stata sigillata e davanti alla quale stavano le guardie a vigilare, viene rotolata senza fatica, quasi fosse un sassolino, e su di essa siede una creatura celeste la cui descrizione ricorda quella del Cristo trasfigurato. Egli viene dal mondo di Dio, ma è vestito come un uomo, segno del nuovo legame che si è creato tra il cielo e la terra, della comunione tra Dio e l’uomo resa possibile dalla morte di Gesù. Anche quanto egli dice attesta l’ingresso in un nuovo mondo; se le prime parole di Adamo dopo il peccato furono: «Ho avuto paura e mi sono nascosto», una paura che ancora abita l’uomo come vediamo dalla reazione delle guardie, l’invito che l’angelo rivolge alle donne le orienta verso l’atteggiamento esattamente opposto: «Voi non abbiate paura!». Vincere l’ansia, l’angoscia, il timore è per Maria di Magdala e per l’altra Maria, come per ognuno di noi, un modo per vivere la resurrezione, testimoniando con la vita la vittoria di Gesù su tutto quanto ci spaventa e fa vacillare, in primo luogo la morte. Perché questo possa accadere, però, bisogna che anche noi assumiamo lo stesso atteggiamento delle donne andate al sepolcro al mattino presto per cercarlo. Colui che pensavano di trovare non c’è più perché è risorto, ma il loro slancio rimane la premessa fondamentale per quel passaggio dal timore alla gioia che introduce nel nuovo mondo della Pasqua. Cercare significa infatti sporgersi al di là dei confini della vita attuale nel desiderio e nella tensione verso qualcosa che ci supera e può dar senso al vivere e al morire, ma per queste donne cercare vuol dire anche rimanere fedeli all’amore nonostante tutto e senza lasciarsi condizionare dalla morte. È un amore oblativo quello delle due Marie, piccolo frammento che riflette il dono totale di sé da parte di Gesù sulla croce. Ed è proprio l’irruzione nel mondo di questo amore infinito e senza limiti, un’irruzione che si rispecchia, seppur in forma impercettibile, nella corsa delle discepole a costituire l’inaudita novità della Pasqua e a farci superare ogni paura.
Se abbiamo iniziato il tempo quaresimale come un percorso in cui recuperare la figliolanza perduta, oggi possiamo celebrare la Pasqua nella gioiosa consapevolezza di sentirci profondamente amati. Amati come figli, amati come persone desiderose di cercare Colui dal cui cuore ferito possiamo attingere la capacità di amare in modo generoso, oblativo, dimenticando noi stessi per così entrare in quel nuovo modo di vivere inaugurato dalla Pasqua.